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Elio Matassi, Il giovane Lukàcs. Saggio e sistema, Mimesis, 
Milano, 2011

di Dario Gentili

A poco più di trent’anni dalla sua prima edizione (1979), arriva benvenuta la ripubblicazione di Il giovane Lukács. Saggio e sistemadi Elio Matassi. È significativo, inoltre, che la ripubblicazione di una delle interpretazioni più influenti del pensiero lukácsiano (in Italia e non solo), Il giovane Lukácsappunto, giunga praticamente in contemporanea con la riedizione di La distruzione della ragione, uno dei classici più discussi del cosiddetto – e vedremo perché la seguente definizione debba essere presa con beneficio d’inventario – “Lukács della maturità”. Una prima questione da sollevare s’impone dunque immediatamente: si tratta solo di una coincidenza editoriale o la ripubblicazione del classico lukácsiano e dell’interpretazione di Matassi indica che siamo in presenza di una riscoperta di Lukács? Forse è prematuro parlare di una renaissancedella filosofia lukácsiana, ma sarebbe un caso di miopia ermeneutica non cogliere un possibile nesso tra l’attuale rilancio su larghissima scala del pensiero marxiano e marxista e un rinnovato interesse per un autore, Lukács, che negli ultimi vent’anni ha scontato insieme ad altri esponenti del marxismo – più o meno ortodosso che sia – una certa marginalizzazione culturale. Non è ora il caso di dilungarsi – in quanto si tratta di un fenomeno evidente anche ai non addetti ai lavori – sulla crisi di quel modello unico liberal-liberistico, uscito vittorioso dalla fine della Guerra fredda e dalla caduta del Muro di Berlino, che ha cavalcato proprio per un ventennio l’onda della globalizzazione economica; è invece opportuno sottolineare come il neomarxismo, che si presenta oggi – pur nella diversità delle sue analisi e proposte – come il critico più agguerrito di tale modello, si rivolga e vada riscoprendo la tradizione del marxismo europeo della seconda metà del Novecento. È a questo punto, tuttavia, che l’inserimento di Lukács nel novero di questi autori potrebbe risultare problematico. Di quale dei due Lukács, infatti, si sta parlando: di quello giovane, mistico ed esistenzialista, de L’anima e le formeo di quello maturo, ideologico e ortodosso, di La distruzione della ragione? Oppure di quello in equilibrio tra le due posizioni, il Lukács di Storia e coscienza di classeapprezzato da Benjamin e Bloch? Ed è proprio a questo punto che il contributo de Il giovane Lukácsdi Matassi può rivelarsi fondamentale, tanto da – ripetiamo – renderne benvenuta la ripubblicazione.

Matassi pone radicalmente in discussione la scansione per fasi, se non proprio per svolte, dell’itinerario filosofico e intellettuale di Lukács. Ma per rendere ciò possibile, bisogna prima di tutto demistificare e disperdere quell’alone mitico che avvolge il “giovane Lukács”. Questo è lo spunto teoretico iniziale de Il giovane Lukács, ribadito ancora oggi da Matassi nell’Introduzionealla nuova edizione: «Il giovane Lukács, ipostatizzato a ‘pensiero unico’ e avulso da tutti i suoi svolgimenti è diventato, con fasi di alterna ‘fortuna’, il modello di un pensiero ricco di spunti, dallo stile scintillante, che ha dato luogo alle formule più variegate, il giovane Lukács ‘profeta della decadenza’ o, ancora, della morte e dell’angoscia, per ricordarne solo alcune, tutte, comunque, viziate da un parametro interpretativo, aprioristicamente presupposto, ‘ideologico’ e, dunque, in ultima analisi, arbitrario» (p. 9). A partire da 1968, soprattutto in Italia, si è andata infatti affermando la fortuna del giovane Lukács a discapito in particolare del Lukács maturo, quello appunto de La distruzione della ragione. In quegli anni, si poteva essere testimoni quasi di un paradosso: da un lato, si criticava il Lukács de La distruzione della ragioneche, in nome del realismo, tacciava di irrazionalismo quella filosofia, quella letteratura e quell’arte borghesi che invece erano alla base della nuova forma di Rationalitierungtematizzata da Cacciari e da lui definita con la formula “pensiero negativo”; dall’altro lato, si apprezzava il giovane Lukács in quanto teorico di quella stessa arte borghese riconducibile al “pensiero negativo” – come testimonia, tra gli altri, un articolo di Asor Rosa pubblicato nel ’68 su “Contropiano” e giustamente valorizzato da Matassi. Bisogna poi ricordare che lo stesso Lukács, disconoscendo in parte la sua produzione giovanile o limitandola a rappresentare una fase dialetticamente “compresa e superata” nella sua produzione marxista più tarda, aveva in sostanza avallato un’interpretazione dualistica del suo itinerario intellettuale. Insomma, considerando la particolare congiuntura della ricezione lukácsiana in Italia, l’impresa a cui si apprestava Matassi con Il giovane Lukácsnon è affatto semplice: dimostrare teoreticamente e filologicamente la “continuità” dello sviluppo filosofico del giovane Lukács e, di conseguenza, sdrammatizzarne la discontinuità rispetto al Lukács della maturità. Ciò significa – e introduciamo così il lessico lukácsiano a cui fa riferimento il sottotitolo di Il giovane Lukács: Saggio e sistema– affermare la continuità tra saggismo e sistema, che la gran parte della critica di allora aveva attribuito invece a due fasi distinte dell’evoluzione del pensiero lukácsiano: «Problematizzare e far emergere in tutta la sua evidenza questa duplice continuità (tra forma saggistica e forma tragica e tra saggismo e sistema) costituisce il proposito e l’ambizione di questa ricerca» (p. 19). Il giovane Lukácsprocede ricostruendo l’evoluzione del pensiero lukáksiano attraverso l’analisi teoretica e filologica dei testi premarxisti, una cui buona parte all’epoca ancora inediti in Italia: dal Lukács ungherese a quello di Heidelberg, passando per il cosiddetto Manoscritto Dostoevskji, custodito in una valigia abbandonata da Lukács presso la Deutsche Bank di Heidelberg nel 1917 e là ritrovato per puro caso alla sua morte, nel 1971. Alla luce delle posizioni assunte da Lukács nella maturità, più che di una dimenticanza si è trattato quasi di una rimozione.

È il “saggismo” a rappresentare per Matassi l’elemento di continuità che attraversa tutta la produzione giovanile lukácsiana e che, come suggeriscono le pagine conclusive del libro, ne proietta le acquisizioni teoriche e stilistiche fin dentro il periodo marxista. Prima però di considerare la continuità tra saggio e sistema – a prima vista, stando alla “lettera” dei concetti in questione e alla “tradizione” che li accompagna, quantomeno problematica – bisogna esplicitare la prima continuità proposta da Matassi in Il giovane Lukács, quella tra forma tragica e forma saggistica. Ebbene, quella conflittualità irresolubile tra artista e vita e – ricorrendo ai termini del titolo di uno dei capolavori giovanili di Lukács – tra “anima” e “forma” è compresa e superata soltanto nella forma saggistica: «Il carattere utopico ed in ultima analisi consolatorio della proposta lukácsiana appare finalizzabile alla negazionepiuttosto che alla valorizzazione effettiva del valore tragico, almeno nella misura in cui lo si consideri una possibilità estetico-teorica in sé e per sé autarchica» (p. 97). La posizione di Matassi è in radicale alternativa rispetto all’enfatizzazione della dimensione tragica e, di conseguenza, dell’irresolubilità del conflitto, che in quegli anni si andava tematizzando in Italia, anche sulla scorta del giovane Lukács. In Il giovane Lukács, invece, la forma tragica non è autonomarispetto alla “forma saggio”, anzi ne è un “momento dialettico”, “negato” e “superato” all’interno del “saggio come sistema”. Eccoci giunti, dunque, al nodo teoretico fondamentale: tra saggio e sistema s’instaura una stretta continuità. Il saggio è, in un certo qual modo, sistema: «La distinzione di ‘saggio’ e ‘sistema’ è dunque una distinzione interna allo stesso quadro di riferimento e non qualifica due modi di essere alternativi, escludentesi reciprocamente, ma scandisce la sostanziale continuità della ricerca lukácsiana. Una ricerca orientata alla costruzione di un modello dialettico che possa emanciparsi dalla ipoteca hegeliana di una dialettica che è immediatamente sistematica, funzionale ad un ‘sistema’» (p. 163). Di quale sistema deve trattarsi perché non sia riducibile a quello hegeliano e alla sua dialettica? In quale sorta di sistema possono trovare espressione le caratteristiche peculiari della forma saggio: eterogeneità metodologica, asimmetria formale, rapsodicità tematica? La risposta di Matassi non lascia adito a dubbi: «L’opera d’arte (che la dialettica saggistica adombra e che il modello sistematico esplicita) costituisce la soluzione lukácsiana al problema di fondo della sua ricerca […]. La sua rigorosa fondazione non può non essere, in ultima istanza, che il ‘sistema’ stesso. L’opera d’arte è già in sé immediatamente un sistema, l’unico sistema teoricamente plausibile» (p. 163). È dunque nell’opera d’arte che saggio e sistema confluiscono in modo coerente; è nell’ambito dell’estetica che, nella crisi del modello sistematico hegeliano, è pensabile ancora un sistema in grado di assumere la frammentarietà, l’eterogeneità e la contingenza senza ricondurli a unità e conciliazione. In quanto identità mediata dialetticamente di soggetto e oggetto, che costituisce una forma “concreta” di totalità, la concezione lukácsiana dell’opera d’arte rappresenta per Matassi una soluzione del conflitto tragico tra anima e forma che si distingue sia dall’opera d’arte funzionale al sistema di Hegel sia dall’antisistematicità e dalla a-totalità con cui Adorno ne determina la peculiarità.

Il modello estetico che rappresenta l’esito della rigorosa analisi di Il giovane Lukácsè, per Matassi, l’acquisizione fondamentale del giovane Lukács, che si ritrova anche negli scritti marxisti della maturità: è una dialettica non funzionale a un sistema presupposto – ma che piuttosto ogni voltafa sistema– che Lukács ha definito in gioventù in quanto opera d’arte e che lo accompagnerà anche nelle elaborazioni successive. È questa, in sintesi, la conclusione di Matassi: «Se la evoluzione intellettuale del giovane Lukács non deve essere interpretata sulla base di presunte svolte e conversioni da accettare come dei puri e semplici ‘fatti compiuti’ e se la stessa espressione ‘giovane Lukács’ ha un significato che non sia semplicemente quello mitico e suggestivo che gli viene attribuito da tendenze […] che ne dilatano oltremisura e per giunta arbitrariamente la portata, la sostanziale continuità del progetto teorico complessivo del giovane Lukács […] dovrà essere ricercata e fondata proprio all’interno del particolare modello di estetica elaborato. Un modello che costituisce la prima, decisiva, formulazione del problema più generale della dialettica, che accompagnerà sempre Lukács nel corso della sua complessa esperienza intellettuale» (p. 187). Non si tratta allora di “scegliere” – come già in passato si è fatto – quale ács sia oggi più attuale o qualeLukács possa rientrare a pieno titolo nella riscoperta e rivalutazione in corso del pensiero marxista. Non bisogna rinunciare al giovane Lukács a vantaggio di quello marxista, o viceversa. Soltanto considerandone la filosofia in modo unitario e coerente – senza mitigarne affatto le contraddizioni, espressione tuttavia di ogni pensiero autenticamente in divenire – Lukács può tornare oggi d’attualità. Anzi, proprio oggi – che viviamo in un mondo non più concepito dualisticamente, per posizioni ideologicamente contrapposte – come mai finora. Ed è sempre oggi che, forse, Il giovane Lukács– alla sua pubblicazione un testo pioneristico e controcorrente – può trovare il suo tempo opportuno e propizio.

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