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L’amore buio 

di Antonio Capuano, ovvero la presa di coscienza 

del lato oscuro

di Domenico Spinosa

 

Presentato nella sezione «Giornate degli autori» della 67ª Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, l’ultimo lavoro del maestro Antonio Capuano, L’amore buio, è un film sul disgelo dell’Io, sulla messa a nudo del nostro essere molteplice che o per un motivo o per un altro tendiamo e/o siamo portati a non conoscere, a non scoprire, a nascondere. Protagonisti qui sono gli adolescenti, sempre a cari al regista, della sua città: Napoli. In particolare, Irene e Ciro. Tutto ha inizio durante una accecante giornata al mare, tra luccicanti e roventi corpi giovani stesi al sole e tuffi coraggiosi da rocce che a guardarle destano sfida, cullati da ritmi neomelodici e frasi rubate al linguaggio verbale contemporaneo. La sequenza è da immortalare, ricca di movimenti di macchina che sembrano dolcemente accarezzare le figure in campo. Ma appena si sta per godere dello spettacolo, ecco qui la caduta, come sempre, quasi a ricordarci dell’intermittenze di cui è fatta la vita. Ecco qui lo scontro, la violenza che interviene a sospendere la bellezza, la bellezza di Irene e Ciro che si oscura nella notte tra le luci sfocate della città e l’incoscienza. L’atto si consuma brevemente in una notte buia, senza vista e senza senso, cieca. Ma la presa d’atto non manca ad arrivare. E così inizia un’altra storia, dallo scontro non cercato all’incontro invece cercato e possibile. Inizia lo scoprirsi mancanti, l’essere incompleti, parziali. Ma già il rendersi conto di ciò fa ai protagonisti superare (forse solo in idea) l’avverso, e il lento aprirsi al nuovo e allo stesso tempo allo sconosciuto diventa plausibile, reale, concreto. Passa tra le mani, prende dentro, sconvolge nel profondo. È qui, tra queste pieghe, che troviamo il film. È osare a tuffarsi in acque non ancora provate. Qui tutto il film. Permanenti, nella mente di noi spettatori, le scene in cui assistiamo al viaggio nel centro di Napoli, nel cuore e nel ventre di questa città, che Irene intraprende. La protagonista attraversa la porosità di Parthenope, passando dai quartieri spagnoli fino ai decumani lì dove si imbatte nei chiaro-scuri del celebre capolavoro (a lei forse sconosciuto) Le Sette opere di Misericordia del Caravaggio, conservate al Pio Monte di Pietà. Dalla curiosità provocata alla (ri)scoperta di se stessi. E niente sarà più come prima. L’amore buio rappresenta l’ennesimo, niente affatto stanco però, dono che il maestro Capuano offre alla sua gente e ai suoi ragazzi, oggi più che mai. È un suo nuovo invito alle giovani generazioni a fare i conti con se stessi e, perché no, anche raccontando storie sempre difficili. Se possiamo permetterci di avanzare qualche appunto, questo può essere rivolto ad alcune scelte un po’ ideologiche che ritroviamo in sceneggiatura. Ma davvero ciò risulta essere poca cosa nei confronti di un affresco di immagini sempre vive a cui veniamo posti di fronte. 

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