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L’avventuriere 

del sapere: 

Roger Caillois

di Marco Filoni

Una fenomenologia della vertigine. Unita alla naturale ossessione verso tutto ciò che è labirintico, incerto, misterioso. In una sola parola: umano. Roger Caillois ha camminato lungo i sentieri più incerti del nostro sapere. E l’animo che lo ha guidato è stato quello dell’esploratore – anzi: “avventuriere”, come lui stesso amava definirsi. A voler stilare un catalogo degli interessi che, non si sa bene come, sono riusciti a trovar posto nelle sue ricerche, si rimane stupiti e interdetti dalla diversità e dall’abbondanza dei temi al centro dei suoi libri. Basterà scorrerne i titoli: il fantastico, i miti, i giochi, le feste, gli insetti e gli animali, le pietre, i riti, i sogni, la guerra, l’arte, la poesia, il sacro… I soggetti trattati testimoniano una curiosità senza limiti verso le discipline più diverse e insolite. 

Questa poliedrica attività di Caillois lo pone oggi al centro di un gran numero di discorsi. Che si parli di mimetismo, di antropologia, del gioco, della mitologia del sacro o anche di Borges, il suo nome è sempre presente. Eppure la sua immagine rimane ancora sfocata, nella difficoltà di render ragione della complessità della sua avventura intellettuale. In fondo Caillois rimane un grande sconosciuto della cultura europea. Qualche anno fa aveva provato a colmare la lacuna, con successo, la nostra bella rivista «Riga» che gli aveva dedicato un numero monografico1. Al quale va aggiunto l’imponente volume che raccoglie le sue opere più importanti2, pubblicato in Francia lo scorso anno in occasione dei trent’anni dalla scomparsa dello studioso avvenuta nel dicembre del 1978. 

Per provare a fare un bilancio dello studioso, si deve tener conto della biografia di Caillois – che non manca certo di interesse. Nato a Reims nel 1913, passa attraverso l’amicizia di Roger Gilbert-Lecomte e il gruppo del “Grand Jeu”, per poi esordire giovanissimo a Parigi con Breton e il movimento surrealista. Si distacca presto dal surrealismo per approfondire gli studi con Georges Dumézil, Alexandre Kojève e Marcel Mauss (di cui sarà allievo). Con Georges Bataille e Michel Leiris fonda il “Collège de Sociologie”, nel quale fa le prime prove generali della sua teoria del sacro e del mito – temi con i quali si confronta in largo anticipo rispetto alla cultura europea. Arriva poi il periodo del lungo soggiorno argentino: allo scoppio della guerra rimane bloccato a Buenos Aires, dove aveva raggiunto Victoria Ocampo – con la quale rimase sempre legato da un intenso rapporto. Da oltre Atlantico sostiene attivamente la lotta contro il nazismo, fondando fra l’altro la rivista “Lettres françaises” e l’Istituto francese di Buenos Aires. Ma soprattutto diventa amico dei più grandi scrittori dell’America latina: Borges e Neruda, Mistral e Reyes. Al suo rientro li fa conoscere in Europa grazie alla collana “Croix du Sud”, che nel dopoguerra fonda e dirige per l’editore Gallimard. Infine le missioni all’Unesco, dove entrerà a lavorare come funzionario, e la creazione della rivista «Diogène» che, con l’aiuto di Jean d’Ormesson, dirigerà fino alla sua morte. Nel frattempo, nel 1971, arriva l’elezione all’Académie française: qui, con spirito ironico, rompeva la monotonia delle sedute (uno dei compiti è quello di stabilire la lingua francese e vegliare su di essa attraverso la compilazione di un dizionario) proponendo parole inesistenti delle quali inventava l’etimologia in maniera così convincente che spesso gli “immortali”, suoi pari, arrivavano ad accettare.

Questi brevi accenni biografici sono già rivelatori della difficoltà nel render conto del complesso universo di interessi entro i quali si mosse Caillois. Volendo fargli il torto di riassumere questo universo, potremmo dire che il grande tema della sua opera è quello della natura e della civiltà, dell’ordine umano in contrapposizione dialettica con il disordine animale. Lo studioso scorge una sorta di alienazione fra il mondo e l’uomo, e con acribia chirurgica tenta di sanare questa frattura che impedisce l’armonia dell’essere umano con la natura. Come? Attraverso connessioni, correlazioni, analogie che provino l’inesistenza dell’abisso fra il mondo naturale e il mondo umano. Analogie che lo studioso riscontra anche in ciò che l’uomo ritiene insignificante, come gli insetti: «l’uomo restituito alla natura è un invito a non dimenticare che l’uomo e l’animale, in particolare gli insetti, fanno parte dello stesso universo, e a spiegare i miti e le ossessioni del primo con i comportamenti del secondo».

Negli ultimi anni della sua vita Caillois iniziò un lavoro per mettere ordine alla sua opera. Con quella che lui stesso chiamava “incorreggibile tendenza unificatrice”, tentò un’operazione non priva di rischi. Non pensava soltanto di classificare e raccogliere i suoi scritti: ciò che voleva era riunire i tanti elementi della sua vasta ricerca non solo come estetica, ma come “poetica generalizzata”. Questo significava passare da una disciplina all’altra attraverso le “scienze diagonali”. Ovvero applicare un metodo rigoroso o un’ipotesi fertile là dove nessuno aveva immaginato potessero esser applicate. Una logica dell’immaginario: ecco cosa aveva in mente lo studioso. Egli esigeva che l’irrazionale, di cui si occupava, fosse sottomesso al controllo della ragione – per fa sì che non diventasse un “vago gioco di società”. Questo significava mettere in evidenza la sintassi generale, quella coerenza segreta del suo universo. Un universo fatto di meraviglia, di mistero, di natura. Una natura che si confonde con le forze dell’abisso. Per questo Caillois dirà che i suoi scritti sono votati al riconoscimento e all’analisi «del potere di seduzione delle forze dell’abisso e nell’affermazione dell’assoluta necessità di opporvi i sotterfugi della libertà umana, in cui consiste la civiltà». 

Questo grande intellettuale è stato uno degli spiriti più interessanti del secolo scorso. Come scrisse Marguerite Yourcenar, possedeva l’audacia e la curiosità di «uno spirito che non ama non comprendere». E ha saputo comprendere, con ostinato rigore, ciò che tutti considerano incomprensibile. Roger Caillois ci ha insegnato la nostalgia del sacro. Quel sacro sul quale mantenere il primato dell’intelligenza e della volontà: perché solo da queste facoltà, ci dice, viene per l’uomo una possibilità di libertà e di creazione. Oggi, noi, abbiamo un po’ nostalgia di Caillois.

 

 

1 Roger Caillois, a cura di U.M. Olivieri, «Riga», n. 23, 2004.

2 Roger Caillois, Œuvres, a cura di Dominique Raboudin, Gallimard/Quarto, Paris 2008.

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