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Le apocalissi del soggetto: distruggere, accogliere

 

di Silvano Petrosino

 

(brano tratto dal volume La scena umana. Grazie a Derrida e Levinas, Jaca Book, Milano, 2010)

Quando il soggetto vede il proprio “ego” in azione secondo l’ordine della distruzione, quando si vede ma soprattutto si sorprende nell’azione del distruggere, ecco che allora può anche decidere di fermarsi, può tentare di cambiare condotta rispondendo a ciò che lo investe secondo l’ordine dell’accoglienza. Per evitare al riguardo ogni facile ed ingannevole retorica è necessario ora approfondire il senso di questa diversa risposta.

Analogamente a quanto si è già affermato, si deve innanzitutto osservare che, così come il desiderio di distruzione può sorgere solo di fronte a ciò che non si può evitare e dominare (il soggetto può voler distruggere sempre e solo l’altro), anche l’accogliere è un’azione che si può esercitare sempre e solo nei confronti dell’altro. In proposito può essere utile distinguere il “ricevere” dall’“accogliere”: si riceve ciò che è dovuto ed atteso, ciò che è pre-visto e di conseguenza è in qualche modo già conosciuto e noto, mentre si è chiamati ad accogliere solo ciò che sopraggiunge come l’imprevisto stesso, solo ciò che nessun orizzonte d’attesa e nessuna immaginazione è in grado di prefigurare ed anticipare; in estrema sintesi, si  riceve ciò che fin dal principio appartiene all’ordine del proprio, mentre si è chiamati ad accogliere sempre e solo ciò che irriducibilmente appartiene al (dis)ordine dell’alterità: si riceve il proprio, mentre l’altro, laddove ci si trattenga dal volerlo distruggere, può essere solo accolto.

In secondo luogo, contro ogni rappacificante interpretazione del rapporto con l’alterità, bisogna osservare che pure l’accogliere, anche in questo caso come il distruggere, si afferma come una forma di lotta, sebbene di una lotta senza aggressione e senza rabbia, se qualcosa di simile è pensabile. È questo un tratto che può essere riconosciuto almeno ad un doppio livello. Innanzitutto, l’accogliere non riduce o neutralizza o sospende l’alterità dell’altro, ma anzi, proprio perché non la distrugge ma neppure semplicemente la riceve, accetta di ospitarla così come è, accusandola, di conseguenza, con ancora maggior forza; in tal senso anche nell’accogliere il soggetto si trova esposto all’alterità, ed il fatto di volerla accogliere, e non distruggere, non toglie nulla alla tensione che sempre accompagna il trovarsi esposti. L’accogliere è una lotta proprio perché al suo interno ci si sforza di ospitare l’altro per ciò che è, senza tentare di neutralizzarlo/distruggerlo nella sua stessa alterità; da questo punto di vista una simile risposta non permette mai al soggetto di evitare l’esposizione in cui si trova, dato che accogliendo egli si apre esattamente al contrario, cioè accetta di ospitare l’alterità stessa che lo eccede e a cui è esposto.

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