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La fiducia 

nei partiti

di Gian Piero Scanu*

La perdita di fiducia che vivono i partiti oggi non può essere senza significato. Non possiamo ancora cercare scuse. Il calo di credibilità che il Paese ha avuto negli ultimi anni ha obbligato i partiti ad accettare un ruolo debole, ai margini del dibattito pubblico, quasi da rendere tollerabile che essi siano in democrazia un dannoso orpello, costoso e privo di utilità. La situazione di coazione nella quale ci troviamo, con una discussione parlamentare ai minimi storici e un'iniziativa legislativa tutta in mano al governo, è l'epigono di un progressivo svuotamento di senso che i partiti stanno subendo da alcuni anni a questa parte: voti di fiducia non necessari, parlamentari non eletti dal popolo sovrano, una concezione militaristica del bipolarismo. Questi sono alcuni elementi che sicuramente non hanno contribuito alla salute pubblica.
Se oggi il Partito Democratico si trova a sostenere un governo cosiddetto tecnico, è solo perché riteniamo che l'Italia non potesse continuare sulla strada del baratro in cui l'aveva condotto il berlusconismo. 

Oggi a sostenere il governo ci troviamo anche insieme a chi, a quel disfacimento del tessuto sociale e civile, ha partecipato. Non credendo alle facili redenzioni, è bene ricordare le motivazioni che ci hanno spinto in questa direzione, in modo tale da non confondere i dolori della cura con quelli della malattia. Tuttavia non posso considerare che sia questa l'esperienza più naturale per chi ritiene che la buona politica debba essere il baricentro che coordina e regola la vita pubblica di una nazione. Ora, il tracollo di fiducia nei partiti è l'indicatore del fatto che un tratto distintivo si sta perdendo. Un tratto di diversità culturale e morale che deve intercorrere tra due schieramenti politici. Un tratto che se cancellato in nome della neutralità tecnica del governare allontanerà sempre più la politica dai cittadini. Premetto questo perché, malauguratamente, c'è chi auspica che un'esperienza di tipo "montiana" si verifichi anche all'indomani delle nuove elezioni politiche. E cioè, una grande coalizione come quella che attualmente sostiene il governo Monti, con la differenza, non piccola, che si avrebbe l'intenzione di sancire tale operazione attraverso le urne. E aggiungo, fare un'ammucchiata con il PDL vorrebbe dire avere la memoria troppo labile e l'animo troppo negligente. Non sarebbero pochi gli elettori che ci accuserebbero di essere troppo disinvolti; infatti dopo aver additato gli anni del governo delle destre, imputando loro il declino del paese, suonerebbe incomprensibile un'attuale intesa.

Un'operazione che non sarebbe altro se non la somma di tutti gli errori dilettantistici possibili a cui si aggiunge una visione angusta dell'orizzonte d'azione politica. 

Non facciamo che ripeterci che viviamo un momento eccezionale, uno scenario globale mai visto prima; eppure non facciamo che ripetere gli stessi errori, gli stessi calcoli limitati. Ci continuiamo a comportare come se vivessimo un momento di ordinaria amministrazione. 

Invece non è così. E trattandosi di una crisi di una sistema, i rischi non vengono risparmiati a nessuno, meno che mai alla attuale classe politica. Il rischio di venir cancellati, spazzati via, è reale; non si percepisce più una qualche necessità per cui i partiti dovrebbero svolgere quella funzione assegnata dalla Costituzione. Ma proprio per questo ci dovremmo riscuotere, e dimostrare perché, a nostro avviso, una democrazia senza partiti è più povera. Diciamo pure che ci dobbiamo riguadagnare il posto, in termini di consenso e credibilità presso la società.  

Questi allarmanti segnali ci dovrebbero spingere a ritrovare l'orgoglio e la ragion d'essere; ci dovrebbero distogliere dall'insana idea di allearci, o peggio, confonderci con chi in una situazione di normalità non dovrebbe avere niente a chi fare con noi.

Da qui alle elezioni del 2013 il Partito Democratico deve dettare l'agenda e dare l'esempio su alcuni temi di particolare interesse e sensibilità: finanziamento pubblico ai partiti e legge elettorale sono i primi argomenti di cui il PD deve essere in grado di presentare proposte di forte rottura con il passato. Ma poi sicuramente anche una visione alternativa, politica in senso vero, di uscita dalla crisi economica. Dobbiamo anche avere il coraggio di dire che certi provvedimenti li abbiamo votati più per necessità che per convinzione; dobbiamo saper dire che con un nuovo governo, legittimato dai cittadini, si dovrà cominciare una pagina nuova della storia del Paese.

Se arriviamo con la testa alta, con le idee chiare e con regole certe all'appuntamento elettorale, allora potremmo evitare che forze di dubbia capacità costruttiva riscuotano un successo dettato dai soli demeriti della politica.  

Invece, una grande intesa delle forze dell'arco costituzionale è solo il modo eufemistico per mascherare l'assenza di fermezza e di immaginazione politica; è il modo pigro per evitare di elaborare un proposta progressista seria ed europea.

Più il tempo passa, più rischiamo di perdere questa opportunità. La prima cosa che ora bisogna dire con insistenza è che il ruolo che il PD gioca nella dinamica di questo governo non è la stessa che avrà, se sostenuto dai cittadini, in un nuovo esecutivo. Viviamo una transizione della storia politica della Repubblica; ora, nei confronti di questa transizione possiamo allungarne i tempi di incertezza e di grigiore, oppure possiamo decidere di inaugurare un'epoca nuova, sottraendoci al logorio a cui siamo sottoposti in questo momento.

Senz'altro è una chiamata di responsabilità, cui dobbiamo rispondere rispolverando la distanza che ci separa dai nostri avversari, la nostra diversità; sapendo che, se questa volta falliamo, potrebbe essere la volta definitiva.

 

* Senatore del PD

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