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I modi dell’interpretazione

di Ugo Perone

Anche l’interpretazione si può dire in molti modi. 

In italiano, in senso più ristretto, possiamo parlare di decodificazione, riferendoci al passaggio da un segno al suo significato, di esegesi, in riferimento a testi aventi un valore autoritativo, o, più comunemente e vagamente, di interpretazione come esplicitazione di un significato non immediatamente evidente. Prevalentemente in filosofia è invalso poi l’uso del termine di ermeneutica, per designare tanto la pratica dell’interpretazione quanto il singolo e specifico atto interpretativo. Manca tuttavia una distinzione che, riprendendo la differenza tedesca tra Auslegung e Interpretation, potrebbe essere di qualche utilità. Come sempre l’espressione germanica Auslegung è assai più immediata; lì interpretare significa es-plicitare, es-porre; il termine di origine latina Interpretation, la cui etimologia non appare così definita, incerta com’è tra una radice che si riferisce al manifestare e una che rimanda al trattare, nel senso di scambiare, resta comunque vigorosamente segnato dal suffisso inter, che sembra alludere a una ricerca che deve operare una scelta tra opzioni diverse.

In mancanza di meglio, in italiano siamo costretti a ricorrere alla formula interpretazione1 e interpretazione2, il primo che farei corrispondere ad Auslegung e il secondo a Interpretation. Con interpretazione1 ci riferiamo a tutte quelle attività di comprensione e commento che mirano all’individuazione dei significati propri di un segno, di un testo, di un’azione. Tale interpretazione, di norma, non è infinita, ma solo molteplice, molte essendo le possibilità ermeneutiche, tutte però ancorate all’autorità della cosa da interpretare (più complesso e profondo l’oggetto più numerose e varie le interpretazioni). L’interpretazione2 è invece quel gesto, tipicamente filosofico, in cui s’inscrivono le interpretazioni1 in un senso complessivo, capace di strutturarle e unificarle. Essa non è molteplice, ma per il riferimento alla totalità da cui è attraversata ha un carattere di infinità, in quanto è suscettibile al proprio interno di infinite e nuove modulazioni. Per certi aspetti l’interpretazione2sembra venire dopo l’interpretazione1 (in quanto ne fornisce un’unificazione) ma per altri essa appare la condizione che apre la possibilità stessa delle interpretazioni1. Come l’attività ermeneutica mostra, se non si disponesse di un quadro di riferimento entro cui inscrivere le interpretazioni1, neppure sarebbe possibile formularle. Come si è detto, all’interpretazione1 corrisponde l’individuazione di specifici significati, all’interpretazione2 la proposta di un senso complessivo. 

Ma quale funzione attribuire a questa proposta distinzione? Anzitutto una funzione liberatoria. Si parla molto di interpretazione e ogni volta sorge un potenziale conflitto tra chi professa una filosofia ermeneutica e chi esercita molto più semplicemente un’attività interpretativa, attività che si estende ai più diversi campi culturali (letterario, giuridico, religioso, diagnostico, ecc.). L’esercizio dell’interpretazione non comporta l’adesione a una prospettiva ermeneutica in senso stretto. Essa è in grado di mettere capo a significati e di favorire un loro confronto, e a ciò intenzionalmente si limita. Altro è se s’intende inscrivere questi significati in una prospettiva a suo modo fondativa, tale cioè da rendere ragione della possibilità dell’esercizio interpretativo e da inscrivere i significati entro una prospettiva di senso, scelta che è una vera e propria libera decisione del soggetto. Qui non siamo più di fronte a interpretazioni, ma a un enunciato filosofico che dichiara che nella modernità non vi è accesso a una verità come oggettività di un ordine dato, ma come invenzione e proposta di senso. Il termine Weltanschauung, oggi assai screditato e assimilato a ideologia potrebbe essere ripreso e ripensato. La filosofia ermeneutica è un modo di vedere il mondo (dove visione del mondo come traduzione del termine tedesco dà luogo a un genitivo oggettivo) che si assume la responsabilità di un’opzione sintetica, suppone cioè che la costruzione di un mondo sia necessaria per vedere il mondo. Il mondo diventa quella modalità di visione che legge nella forma dell’unità ciò che si presenta nello stato della distinzione. Qui il genitivo è soggettivo. Ma è proprio nella duplicità di questo genitivo, al tempo stesso soggettivo e oggettivo, che l’ermeneutica come filosofia non solo cerca di stringere il nesso di verità e interpretazione, ma anche tenta di superare la semplice opposizione di soggetto e oggetto. 

La distinzione proposta a questo punto assume anche un altro significato, consente cioè di formulare in modo più netto, e a mio parere più convincente, quello che è lo statuto su cui si fonda l’ermeneutica come filosofia. A questo punto risulta altresì chiaro che il termine interpretazione, nel suo senso generico, ha un’estensione semantica ampia e polisensa, ma che, riferito a un’opzione filosofica complessiva, ci si dovrebbe limitare piuttosto all’uso di ermeneutica e derivati, poiché questi meglio alludono a quanto qui ricompreso con il termine di interpretazione2.

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