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Verso il 150° 

dell’unità d’Italia

di Umberto Carpi*

Mai come in questo momento storico e in maniera ancora più radicale nel nostro contesto nazionale la crisi politica di una determinata maggioranza parlamentare manifesta una crisi ancora più profonda e generale: questa crisi politica indica una crisi dellapolitica così come siamo abituati a concepirla. Crisi della politica diventa crisi della rappresentanza politica. La recente vicenda parlamentare che ha coinvolto alla Camera dei Deputati l’approvazione della “presunta” Riforma universitaria ne costituisce una testimonianza evidente. Nonostante le proteste che hanno animato la base studentesca, quella dei giovani ricercatori, delle tipologie di docenza, il mondo della scuola e quello delle opposizioni parlamentari, la maggioranza parlamentare ha proceduto nella maniera più autoreferenziale e quasi nella assoluta indifferenza rispetto alle rivendicazioni provenienti da vasti settori della società civile. Una Riforma che si presume epocale, caduta completamente dall’alto, mai seriamente discussa con le componenti della società civile cointeressate e dagli effetti devastanti per i già fragili equilibri su cui oggi si regge l’Università pubblica.

La maggioranza parlamentare sembra procedere in una maniera sempre più distante da quelli che sono i gravi e reali problemi che coinvolgono l’insieme del paese e della società civile.

Sembra quasi che, nonostante i tanto ostentati indici di gradimento, questa maggioranza parlamentare non rappresenti più alcuno se non sé medesima con i suoi problemi di equilibrio interno tra le varie componenti che la compongono. In questo caso, ritengo che non sia una conseguenza affrettata il dedurre che oggi la crisi politica di cui tutti parlano stia diventando sempre di più una crisi di sistema, molto grave, che investe alle radici il rapporto di rappresentanza.

Qual è il compito dell’opposizione e, in particolare, del partito democratico in questa situazione? Credo che gli eventi degli ultimi giorni concernenti la protesta contro l’approvazione della Riforma universitaria stiano a dimostrare la necessità per il partito democratico di non perdere quel rapporto, in parte recuperato, con i settori più avanzati e consapevoli della società civile.

Per quanto concerne le scelte politiche da prendere anche in rapporto all’ormai prossimo appuntamento parlamentare del 14 dicembre (la fiducia al governo), ritengo che l’unico percorso politico credibile sia quello, su cui si sta già muovendo la segreteria Bersani, di riunire le varie anime della sinistra, da Di Pietro a Vendola, da Diliberto a Ferrero. E’ ovvio che tutto dipenderà anche dalla legge elettorale con cui si tornerà a votare molto probabilmente nella prossima primavera; ma, con la legge attuale, ritengo non praticabile, se non addirittura suicida per il partito democratico, uno spostamento al centro, già inflazionato dalla presenza dei finiani, dell’UDC, dell’MPA e di altre componenti minori.

Il partito democratico, che sta recuperando in parte il rapporto con il suo popolo, come dimostrano le manifestazioni contro l’approvazione della Riforma universitaria, deve ulteriormente rafforzare la sua capacità di ascolto e di mediazione politica rispetto alle richieste postulate con tanta passione da quella che è una delle basi di riferimento fondamentali dell’elettorato di sinistra.

E’ opinione diffusa che il capitalismo abbia trionfato sul socialismo. Ma si tratta di una interpretazione della contemporaneità sostanzialmente fuorviante, perché, in realtà, il trionfo è dovuto in larga misura alla democrazia piuttosto che alla economia di mercato. Qualora il capitalismo, trascendendo la politica, diventasse un sistema ‘totalitario’, come di fatto sta avvenendo negli ultimi dieci anni con le ricorrenti crisi finanziario-sistemiche, rischierebbe di crollare a sua volta, in quanto in nessun ciclo della nostra storia recente – eccezion fatta per il periodo degli anni Trenta – le disfunzioni dell’economia provocate dal capitalismo globale sono state tanto gravi quanto lo sono oggi: disoccupazione crescente, crescita esponenziale dell’illegalità e povertà nei paesi sviluppati, miseria insostenibile in molti paesi in via di sviluppo, incremento delle diseguaglianze di reddito procapite tra i paesi. 

Il capitalismo globale sta di fatto provocando un’alterazione profonda degli equilibri internazionali con effetti devastanti sulla sostanza stessa della democrazia.

E’ doveroso precisare che ogni sistema economico non può aspirare a rappresentare immediatamente – direttamente il sistema politico; l’economia di mercato no può esprimere, senza mediazione e controlli, un principio di democrazia e che, pertanto, entro quest’ottica peculiare, possono sussistere solo sistemi ‘spurii’. Esistono ‘democrazie di mercato’ ma non ‘economie di mercato’. Si tratta di una differenza rilevante che tiene nel debito conto i due contrapposti poli di riferimento che governano o che dovrebbero governare la totalità sociale. 

Da un lato, il mercato esprime una vocazione individualistica, dall’altro, la democrazia, costruita sul principio del suffragio universale, esprime quella opposta. Una contraddizione che era stata percepita fin dalle origini dalla teoria politica della Grecia antica. Soltanto la ricerca di un equilibrio tra queste due vocazioni contrapposte potrà continuare a far vivere degnamente la democrazia. Qualsiasi lacerazione di tale equilibrio non può che risultare devastante per la costruzione di un autentico assetto democratico.

Il partito democratico deve saper interpretare questo scarto sempre più marcato che si sta consumando tra sistema politico rappresentativo ed esigenze che nascono dal basso, da varie parti della società civile, per difendere fino in fondo un’idea della democrazia “forte” non minimalistica.

Non esiste una democrazia dimidiata, una democrazia che tiene conto solo degli interessi di una presunta maggioranza, ma una democrazia compiuta rispetto a cui maggioranza e minoranza sono da considerarsi sullo stesso piano. Esattamente il rovescio di quello che sta accadendo oggi e che corrisponde la pratica politica dell’attuale maggioranza parlamentare.

Il furore legislativo e i comportamenti verbali dei principali esponenti del blocco neopopulista oggi al potere sono rivolti in eguale misura contro tutto ciò che ha direttamente o indirettamente una qualche implicazione “pubblica” e che investono nella stessa misura radicale tutte le forme di minoranza, da quella omosessuale, a quella degli immigrati, a quella dei rom e, non ultima, quella concernente gli intellettuali e tutte le forme della cultura e della docenza: tutti questi settori della società, in quanto non rappresentati dalla maggioranza, per questa finiscono per non esistere.

Il partito democratico deve dare rappresentanza a chi oggi non ne ha e, deve anche rammentare, a differenza dell’attuale maggioranza, che ogni forma di rappresentazione deve presupporre la partecipazione. Deve dunque saper capovolgere la prospettiva del blocco neopopulista che mina alle radici l’essenza stessa della democrazia.

 

 

* In collaborazione con la rivista Argomenti umani 

diretta da Andrea Margheri

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