
Leggera come una farfalla
di Enrico Garlaschelli
La polvere della farfalla, è intitolato il brano che Antonio Tabucchi dedica a Marilyn1. L’amore arriva a tarda sera: non riguarda quella farfalla che ha rinnovato completamente il bruco, ma “la polvere della farfalla”, quando le tue dita si stringono sulle sue ali scrostandone la polvere (che le fa volare). L’amore parla alla farfalla notturna così come Aby Warburg parlava loro durante la notte. L’amore, scriveva Proust, immagina sempre la sua fine. Ma non perché sta finendo: la sua fine è l’inizio (non come qualcosa che comincia, che ricomincia dopo la fine, ma sembra che la fine contenga – sia l’istante del – l’inizio e il contrario).
Marylin non era la bionda affascinante che seduce gli uomini “quando la moglie è in vacanza”. Nel suo solare intervento, Antonio Tabucchi scrive che l’intelligenza di Marilyn non poteva essere quella che non disturba gli uomini (della bionda affascinante); come non lo era il suo fascino, adatto ai ruoli complessi, portato alla drammatizzazione.
Tuttavia questa donna intelligente, che leggeva i poeti e viene sorpresa con in mano l’Ulysses di Joyce, non era più affascinante perché più intelligente, piuttosto il fatto di essere intelligente le forniva un fascino ancora maggiore, più irraggiungibile di quello della bionda affascinante che appare quando la moglie è in vacanza: il fascino di un’anima, chiusa nell’involucro del corpo, che si vorrebbe far uscire o che si vuole raggiungere, come intende fare ogni tensione desiderante portata all’eccesso nella ricerca della
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totale empatia, del totale rinnovamento (quella del bruco che si trasforma in farfalla), e che tuttavia può anche rappresentare la totale distruzione.
Questo fascino, certamente, ha a che fare con il phantasma. Dove sta il phantasma?
«Un giorno – racconta il fotografo André de Dienes di Mariyn – mentre la stavo fotografando, ci avventurammo in una lunga discussione sulla reincarnazione. Eravamo all’aperto, sotto un bel cielo dove correvano le nuvole. Marilyn era contenta e rideva. Mi confessò che nella sua prossima vita avrebbe voluto essere una farfalla. Inseguendo le nuvole dissi: “Guarda, Norma Jeane, intorno a noi c’è una forma di reincarnazione palese. Una buona parte del nostro corpo è fatto di acqua. Quando moriamo, quest’acqua evapora e si trasforma in nuvole. Le nuvole diventano pioggia e la pioggia fertilizza la terra, dove crescono le piante che gli animali e gli uomini mangeranno. È così che il ciclo della vita si ripete di continuo”. Marilyn rispose: “Vuoi che diventi una nuvola? E allora fotografala!”. Spalancando le braccia mi corse incontro, il viso rivolto al cielo, i capelli al vento…»2.
Quel fotografo non riuscirà mai a imprimere sulla pellicola la nuvola che si era immaginata Marilyn di se stessa, e penso che il punto sia proprio qui: dobbiamo interrogarci su questo destino che ci attende, di essere qualcosa che non c’è, allo stesso modo in cui ciò che Marilyn voleva essere non si è impresso su quella foto; allo stesso modo in cui si è interrogato Barthes sul punctum della fotografia – non lo puoi trovare nella foto, ma è qualcosache ti punge, ti ferisce, da Nonsodove (direbbe Tabucchi); o come si è interrogato Blanchot quando riflette sul ruolo della letteratura:
«Nella parola – lo espone Blanchot – che qui sta per il linguaggio letterario, muore ciò che dà vita alla parola; la parola è la vita di questa morte, è “la vita che porta la morte e si conserva in essa”»3. E tuttavia ciò che racconti è – la vita.
Ed infatti, ricorda ancora Tabucchi, è alla letteratura che si rivolse Nabokov per trovare quella farfalla; nella sua mania, nella sua ninfomania che aveva raccontato in Lolita e che finirà in pazzia: «…afferrare la bellezza e la morte è impossibile, perché la bellezza e morte appartengono all’ineffabile. Solo il Mito le può comprendere»4.
Immaginiamoci, scrive Žižek, l’inerte presenza dell’atto sessuale: quello che non può darsi perché non esisterebbe desiderio. Rimarrebbero infatti solamente gesti rapidi e convulsi senza alcuna capacità di rappresentare alcunché.
Qui si comprende cos’è lo schermo fantasmatico. Ma dobbiamo anche smetterla di declamare quello che haMarilyn, la leggerezza della farfalla, e che non ha Lady Gaga: non la luce degli occhi, non la grazia del corpo come una farfalla. Semplicemente il desiderio non funziona così, non distingue fra l’oggetto (del desiderio) che ha esistenza da quello che non ne ha; e tuttavia non insegue solamente fantasmi, non sogna l’impossibile, non è solo il desiderio che uccide se stesso in una vana ricerca di ciò che non c’è.
Potremmo invece pensare che quello che non ha Marilyn riguarda sempre quello che non ha Lady Gaga. Potremmo supporre che Marilyn è primariamente spaventata non da come sembra agli uomini rispetto a come è, ma da ciò che non è, da ciò che non ha: in definitiva da ciò che non può dare agli uomini, così come nel film 21 grammi5 Cristiana, quando Paul le confessa il suo amore, ha una reazione stranita che riguarda non la questione se ella desidera o non desidera Paul, quanto il disorientamento provocato dal buco, dal foro6, che trova in se stessa (spalancato dal desiderio di Paul): «E c’è qualcosa che più ci penso e meno capisco: perché diavolo mi hai detto che ti piaccio? Rispondimi, perché non mi è piaciuto proprio per nulla che tu me lo abbia detto. Non puoi prendere, andare da una donna che conosci appena e dirle mi piaci».
Spiega Žižek che «la funzione principale dell’ordine simbolico, con le sue leggi e le sue costrizioni, è di rendere la nostra coesistenza con gli altri minimamente sopportabile: un Terzo si deve frapporre fra me e il mio prossimo in modo che le nostre relazioni non esplodano in una violenza omicida»7. Aggiungiamo che la funzione del fantasma è di rendere sopportabile a noi stessi il buco che noi siamo.
Eppure questo schermo fantasmatico è ambivalente, perché può diventare uno schema di riferimento obbligato che imprigiona la persona nella farfalla come nella bionda affascinante “quando la moglie è in vacanza”… Insomma, a ciascuno il suo fattore atto a risvegliare il desiderio e ad esserne risvegliati. In ogni caso, sempre, il fantasma costituisce un riparo per il soggetto che allo stesso tempo lo spossessa, lo mette al servizio dello schema fantasmatico. Ed in questo senso – al di là di ogni retorica di Marilyn “leggera come una farfalla” perché non è la bionda che arriva “quando la moglie è in vacanza” – la schermatura fantasmatica che la pensa “leggera come una farfalla” non si discosta in ultima analisi dalla dinamica, altrettanto fantasmatica, relativa a “quando la moglie è in vacanza”. Cosa sono io per gli altri? Cosa vogliono gli altri da me? Il fantasma interviene per affrontare queste domande, ma certamente mai saprà rispondere all’abisso che ci si para innanzi quando rivolgiamo a noi stessi la madre di tutte le domande: che cosa voglio? Domanda, lo sappiamo, in se stessa mal posta.
Possiamo ora chiarire il dramma di Marilyn: non il diffalco fra ciò che è veramente e come gli altri la vedono, ma fra ciò che non ha e ciò che è. Potremmo reinterpretare il suo dramma – senza alcuna pretesa biografica – non nella divaricazione fra la donna intelligente che era e come invece veniva vista dagli altri. Piuttosto, la donna intelligente che era l’aveva posta di fronte al dramma dell’esistenza – evidenza aumentata dal mondo dello spettacolo in cui si muoveva – che sempre pone di fronte a ciò che non si ha, a ciò che non si è, e dunque sempre drammatizza la nostra relazione desiderante.
In Blue Sky8 (sottovalutato) Carly (Jessica Lange), moglie di un ufficiale dell’esercito, è esibizionista, leggera, adultera, infantile. Lui non può fare altro che amarla. Ma lei è veramente così? Il film non lo dice, e tuttavia parla dell’oscura provincia americana, e di oscuri esperimenti nucleari. E tutto rimanda a questo oscuro oggetto del desiderio: lui non può fare altro che amarla.
Ritorna la domanda: che cosa voglio? È un abisso che si spalanca e sembra mostrarsi nella profonda oscurità – ambigua, terrificante – della bassa provincia
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americana, e nella profonda oscurità umana dell’imminente catastrofe nucleare. E lei, adultera, in questo contesto sembra solo interpretare l’umano – questo abisso nell’umano – fino in fondo.
Carly è certamente “nevrotica”, allo stesso modo, scrive Tabucchi, di Marilyn: «Come si possono definire “nevrotici” tutti coloro che pensano troppo, che amano troppo, che sentono troppo»9. Carly cerca di vivere quello che non sarà mai. Marilyn dirà a quel fotografo con il quale aveva compiuto l’estremo tentativo di mostrarsi come una farfalla: “I guess I am a fantasy”. Dunque una fantasia, un fantasma: il fantasma a cui si riferisce Marilyn è proprio un’ “apparenza”, non è neppure quella farfalla che doveva imprimersi sulla pellicola fotografando il corpo di Marilyn. Per questo Tabucchi dice che Marilyn sta fuori dalla riproduzione seriale in cui l’aveva rinchiusa Andy Warhol: è una “fuoriserie”. Ma dove sta? La riproduzione seriale vuole aprire proprio questa domanda: dove sta l’originale?
È l’abisso che si è aperto nella nostra epoca del dopo. Dove sta dunque Lady Gaga oltre i suoi vestiti e travestimenti? La catastrofe del tempo che ci fa venire sempre “dopo” ci ha tolto l’illusione di essere “leggeri come una farfalla”. “I guess I am a fantasy” potrebbe dirlo anche Lady Gaga: penso proprio di essere un’apparenza, penso di essere – che con Lady Gaga si è trasformato in un “voglio” – proprio quell’apparenza lì.
E tuttavia l’uomo non può che abitare quel luogo – il “là” – il luogo, scrive Petrosino, dei propri sogni, dei fantasmi, egli «vive sempre “là e altrove”»10.
Ed è questo che ha fatto dire a Žižek che «lo scarto tra $ S, fra il vuoto del soggetto e la caratteristica significante che lo rappresenta, significa che “ogni riferimento del soggetto a se stesso è puramente casuale»11. E così, sotto i vestiti di Lady Gaga dobbiamo rassegnarci a non trovare nulla. Che fine fa dunque il nostro desiderio? Potevamo ancora desiderare Marilyn nevrotica, sia quando fa la bionda affascinante, sia quando la cogliamo spettinata, con l’occhio perso e il trucco degli occhi sfatto. E possiamo desiderare Jessica Lange e il suo viso sofferto durante le crisi nevrotiche, perché lei non è solo quello. Ma cosa desideriamo di Lady Gaga oltre i suoi vestiti? Che fine fa il nostro desiderio? Non dovremmo credere, invece di dire che sotto quei vestiti non c’è niente,che desideriamo proprio quell’apparenza? Così come Marilyn, perfettamente cosciente di essere un mito, se ne domandava il senso, fino a quando, avendo sognato di essere una farfalla «decise di diventare chi la sognava»12: proprio quell’apparenza. Ma non stiamo già parlando di Lady Gaga? Lady Gaga ha preso sul serio Marilyn, ha voluto mettere in atto ciò che Marilyn drammatizzava, intende esserne l’imprenditrice; estremismo di tutte le perversioni, così come ci ha insegnato De Sade.
1 In Marilyn Monroe fragments, Feltrinelli, Milano 2010.
2 A. de Dienes, Marilyn, Taschen, 2004.
3 M. Blanchot, Da Kafka a Kafka, trad. it. di R. Ferrara, D. Grange Fiori, G. Patrizi, L. Prato Caruso, G. Urso, G. Zanobetti, Feltrinelli, Milano 1983, p. 33.
4 A. Tabucchi, Marilyn Monroe fragments, «Introduzione», cit., p. 16.
5 A. G. Iñárritu, 2003.
6 Il “qualcosa di lacunare” che è il soggetto, dirà Lacan.
7 S. Žižek, How to read Lacan, Granta Publications, London 2006, trad. it. di M. Nijhuis, Leggere Lacan, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 66.
8 Tony Richardson, 1994
9 A. Tabucchi, Mariyn Monroe fragments, cit., p. 18.
10 S. Petrosino, Capovolgimenti, Jaca Book, Milano 2007, p. 43.
11 S. Žižek, Le Plague of Fantasies, London – New York, 1997, trad. it. di G. Illarietti e M. Senaldi, Epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2004, p. 19.
12 A. Tabucchi, Marilyn Monroe fragments, cit., p. 18.