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La filosofia come placebo

di Giovanni Invitto

Filosofia a colazione, pranzo e cena. Dopo i vari festival filosofici, ora è praticata una nuova moda: quella per la quale la filosofia è un supporto “pubblico” ai problemi del vissuto. Per quanto concerne la mia zona di residenza, un comune del Salento ha attivato, presso il palazzo comunale, uno studio per il “consulente filosofico” che riceve i cittadini su appuntamento. Inoltre, una donna di mezza età, che ha un percorso formativo sempre per la “consulenza filosofica”, si è trasferita da Milano a Lecce, anche perché al Nord non era riuscita mai ad avviare una sia pur minima pratica lavorativa in quel campo. Ora gestisce, in un importante centro della provincia salentina, una specie di studio presso l’università della terza età. Niente di scandaloso né di illegale, sia ben chiaro. Nessuno smentisce il fatto che la prassi dialogica e argomentativa possa aiutare il singolo a fare maggiore chiarezza in se stesso: avviene da anni con la filosofia per ragazzi, importata, naturalmente, dall’America. Il pericolo è costituito dalla possibilità di una duplice illusione: la prima è che ci possa essere una filosofia come professione paraterapeutica, la seconda che, con queste prassi, si risolva il problema della disoccupazione di chi ha fatto certe, apprezzabili, scelte culturali che, oramai, non hanno più sbocco nell’insegnamento.  

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