La sacralità della seconda natura ovvero il capitalismo trionfante
di Andrea Poma
Dall’ingresso della caverna l’uomo scrutava angosciato il cielo notturno, inizialmente illuminato magicamente dal plenilunio, che di momento in momento si oscurava, invaso dall’ombra minacciosa e fatale. La massa oscura avanzava sul disco della Luna e le rubava la gloria della sua algida luce, spandendo sulla Terra la tenebra di una notte minacciosa e terrificante.
Nessun rito conosciuto aveva avuto efficacia. Nessuna minaccia, altrimenti temuta dai nemici e dagli stranieri, nessun urlo aggressivo, né percussioni violente del terreno con ambo i piedi, né digrignare di denti o agitare di clava, avevano potuto alcunché contro la potenza anonima, cieca, indifferente del fato, che si espandeva con la sua ombra a nascondere la Luna e ad annientare la Terra, l’uomo spaventato e tutto ciò di cui viveva.
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Molte cellule che dicevano di sé “Io” seguivano atterrite, angosciate, il crollo repentino, roboante, di enormi masse rocciose di capitali finanziari, che si abbattevano indifferenti sul formicaio di società, gruppi, collettività, singoli e doppi, travolgendoli in una corrente magmatica, che fluiva turbolenta verso nessuna direzione.
Non vi erano riti politici, finanziari, economici, astuzie sacrali note ai più o a pochi, che potessero in qualche modo impedire o domare l’evento fatale, di cui nessun “Io” era partecipe (partem capiens).
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La Natura è un’esperienza umana che affonda le sue radici nel sacro immemorabile. Da quando, da sempre, gli uomini hanno sentito sopra, sotto, intorno a sé un enorme, indefinito essere vivente, un Leviatano anonimo, che trascorreva la propria vitalità senza inizio e senza termine, impassibile nel suo tutto ad ogni irrilevante inizio e ad ogni irrilevante fine; un corpo senza organi, percorso da miriadi di traiettorie, tutte e ognuna non più che superficiali rispetto alla sua massa, per altro priva di profondità. Molto più e molto peggio: gli uomini hanno sentito di essere essi stessi parti non partecipi, traiettorie insignificanti percorrenti questo tutto, la cui disperata e folle ostinazione a fissarsi in un’identità, a dire e ad essere “Io”, era del tutto trascurabile e trascurata, persino ignota e ignorata per la Natura.
Per questo gli uomini hanno tentato di venire a patti, di creare transazioni, un commercio, con questa Natura fatale. Tale commercio non poteva non iniziare, ed è sempre iniziato, con un’offerta di sé, un sacrificio, una prostituzione sacrale, di sé, cioè del proprio “Io” ristretto o allargato (figli, schiavi, bestiame, beni), o per interposta persona (vittime sacrificali straniere). Non vi era altro modo concepibile per attrarre l’attenzione della Natura se non tentare un’interlocuzione dicendo “Io”, gridando “Io”, pur nell’atto dell’annientarsi, perché il Tutto diventasse un “Tu” e non fosse più minaccioso, ma disponibile. Fu illusione. La Natura non si accorgeva di nessun “Io”, di nessuna sua cellula, perché la Natura non è “Io”, non ha identità, nome, origine né finalità; non è né buona né cattiva; non ha relazioni né organi per le relazioni, perché non ha né esterno né interno, né superficie né profondità: semplicemente è vivente e nel suo vivere muta incessantemente e ciecamente, e nel suo mutare genera e distrugge le proprie parti, le proprie cellule, a milioni, a miliardi, in eventi catastrofici, cioè in successioni infinite di equilibri e di rotture, di flussi e di interruzioni di flussi, in tutto ciò immutabile e impassibile.
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Dalle profondità altrettanto immemorabili, da cui sono sorte le esperienze narrate nei libri antichi della Bibbia, conosciamo la storia di quegli antichi padri, forse urriti, che hanno fatto l’esperienza della semplice e radicale negazione del sacro. Essi hanno rivoluzionato la propria esperienza, hanno rifiutato di offrire qualunque sacrificio alla Natura sacra e hanno chiamato Dio, non già quest’ultima, ma colui che ha rifiutato il sacrificio. Essi hanno negato all’indifferenza anonima della Natura sacra ogni parola e hanno invece rivolto ad Altro la propri invocazione, il proprio grido (YAH). Rivolgendosi a lui con il Tu della pari dignità, hanno parlato senza sapere chi era colui che rispondeva; hanno parlato con lui di ogni cosa del mondo, dando a ciascuna un nome e liberandola così dall’anonimato sacrale della Natura. Da costoro è nata e si è moltiplicata una stirpe, che poi si è ampliata accogliendo chiunque volesse emanciparsi dalla Natura sacra. Nulla più è sacro per costoro, nulla più è profano, ma ogni cosa è buona o deve essere tale, chiamata per nome a se stessa.
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Nei tempi moderni, che chiamiamo nostri solo perché, pigri, ne ripetiamo stancamente alcuni luoghi comuni e alcuni vuoti stereotipi, ma che in realtà sono ormai passati, schiere di preti religiosi e di preti laicisti ci hanno parlato fino alla noia della Natura. Gli uni predicando la sacra Natura, gli altri oltraggiandola, prestavano entrambe le schiere il loro servile omaggio ad essa (poiché la perorazione e l’oltraggio sono egualmente parte del rito di chi si affanna a trescare con il sacro).
I filosofi e i maîtres à penser in genere ci hanno spiegato che la Natura è morta. L’uomo. dicono gli uni, ha perduto il rapporto con ciò che lo coinvolge trascendendolo e si è trasformato in un prometeico padrone di se stesso e di ogni cosa, dominante e non più dominato, animante e non più animato. L’uomo, dicono gli altri, si è emancipato dalla schiavitù della paura e dell’angoscia di fronte alla Natura sacra ed è ora pienamente libero e responsabile di sé e della propria vicenda. Per gli uni come per gli altri l’arma che ha ucciso il sacro Leviatano è la Tecnica, che poi non significa nulla, se non si osa rivelare il potere che la produce e la usa: alcuni dissennati lo confondono con la ragione, così come l’ignorante confonde la paccottiglia luccicante con l’oro fino; ma se se ne vuole dire il nome vero, allora questo potere si chiama Tecnologia e non è un soggetto, ma, come la Natura, è un sacro Tutto.
L’età della metafisica, della perdita dell’Essere, dicono gli uni, è l’età della Tecnica. L’età della secolarizzazione e dell’emancipazione umana è l’età della Tecnica, dicono gli altri. Ed essi cantano questa antifona, questo agone di parole contrapposte, su una nota di corda unica e comune.
Sono gli uni e gli altri devoti del nuovo bestione sacro, che, altrettanto fatale, anonimo, indifferente, ha sostituito la Natura. Questa seconda Natura sacra si chiama Capitale, e Capitalismo il modo d’essere nel quale per altro si identifica senza alcun resto, e come la prima esiste indifferente, riempiendo l’essere occidentale. Nuovo corpo senza organi, attraversato sulla sua superficie senza profondità dalla miriade di traiettorie, che follemente, come sempre è stato, si ostinano a dire di sé “Io”, senza che questa parola possa mai uscire dall’evanescenza del flatus vocis e farsi discorso.
Il Capitale trionfa, enorme bestia informe e proteiforme, e gli utili idioti che cantano inni alle meraviglie progressive della Tecnica gli fanno da cornice, come eunuchi, prostitute e nani di una corte demente per un sovrano che non regna né si accorge di chi vuole essergli suddito, ma placidamente è e sta in un dinamismo che sta fermo sul posto a velocità sempre più elevate. Il Capitale vive nutrendosi degli eventi e delle cellule che non ha bisogno di catturare, perché non sono altrove che su di lui e non sono altro che suoi modi e striature. La bestia divora se stessa, si direbbe, se ciò avesse un senso, ma non ne ha, poiché essa non è un soggetto né dice “Io”: è una nuova sacra Natura.
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In questi giorni, tra luglio e agosto, in occidente osserviamo atterriti e angosciati gli immani crolli finanziari, gli attacchi violenti e vittoriosi al sistema debitorio dei più potenti Stati sovrani, allo sfaldarsi inane delle loro difese, in mezzo ad un assordante e inconcludente susseguirsi di dichiarazioni di coloro che si fanno riconoscere come esperti e responsabili difensori di quelle cittadelle inermi.
È comprensibile la paura dei tanti che in questi eventi riconoscono la concreta minaccia per il proprio lavoro, la tempesta che probabilmente abbatterà le fondamenta della propria impresa, l’ombra tenebrosa che si allunga sul proprio presente precario e sul proprio futuro impossibile, la scure che si abbatte su quei presìdi previdenziali e assistenziali che dovrebbero rassicurare la propria vecchiaia. Ma questa è la prospettiva delle piccole, irrilevanti, formicolanti traiettorie soggettive, che si immobilizzano sconcertate sul corpo senza organi del Capitale. Esse saranno presto spazzate via, con leggi e norme dei vari Stati, affinché non ingombrino il campo, impedendo la dinamica dei flussi più vitali, che invece in questa situazione rafforzano più che mai il trionfante pulsare del Capitalismo.
Quei poteri finanziari che solo pochi anni fa sono stati salvati dalla voragine con enorme elargizione di capitali da parte degli Stati, ora usano quei medesimi capitali per attaccare gli Stati che li hanno salvati, riprendendo così lena nel loro infaticabile e cieco fluire senza meta. Nella prospettiva generale del Capitale, la situazione è quanto mai positiva. I flussi si moltiplicano, le scorie vengono eliminate, la grande bestia è più che mai vitale e si espande divorando se stessa, il che non la porta affatto all’autodistruzione, bensì all’autoaffermazione senza limiti.
Da molte parti si sente parlare di crisi del Capitalismo, di fallimento del Sistema. Purtroppo è vero il contrario. Ormai da qualche decennio il Capitalismo ha raggiunto la propria compiutezza e ora celebra il proprio trionfo. Nuova Natura senza soggetto, il Capitale avvolge e sovrasta ogni destino particolare e vive la propria dinamica esistenza solipsistica, né buona né cattiva, nella quale e per la quale gli individui che si ostinano a dire di sé “Io” sono innalzati o annientati senza alcuna ragione e senza alcun fine. I mezzi che il Capitale ha a disposizione per questo suo trionfale permanere sono Tecniche, proprio quelle Tecniche che i patetici laicisti, progressisti e illuminati, continuano a osannare davanti a un popolo stremato. Nuove Tecniche finanziarie e bancarie, nuove Tecniche della comunicazione e della transazione, Tecniche informatiche, Tecniche statistiche, di calcolo e di previsione: tutto ciò ha potenziato enormemente la dinamicità dei flussi senza meta e quindi la vitalità del Capitale.
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Di fronte a questa nuova Natura i più, e tra loro, in prima fila, gli spiriti forti, che combattono senza tregua la sacralità della prima Natura, si sottomettono e offrono sacrifici senza sosta: rinunciano ai propri beni, espongono anche le possibilità di vita e di lavoro dei propri figli, e gettano tutto ciò nel fuoco sacrificale, nel tentativo sacrale di rabbonire il Leviatano. Nessuno mette in discussione il Capitale trionfante, esso è sacro. Si cerca invece di placarlo o di salvarsi tenendosi vicino alla sua corte.
Non so dire se ci sarà la possibilità di fuggire, di liberarsi da questa nuova fatalità e dall’asservimento sacrale ad essa. Forse dobbiamo sperare in qualcosa di simile a ciò che è già avvenuto e forse dobbiamo guardare in quella medesima direzione per spiare l’arrivo di una possibilità di liberazione. Forse uno di questi giorni qualche nomade urrita volterà fieramente le spalle al feroce Baal, gli negherà ogni sacrificio propiziatorio, e con un gesto di coraggiosa emancipazione e di autentica libertà si volgerà a parlare con un Altro, senza conoscerne il nome, ma rivolgendosi a lui con il Tu del discorso ed ottenendone la risposta della conferma nella sua lotta contro la sacralità del Capitale e della sua Tecnica.