Appunti su
laicità e bioetica
di Umberto Curi
1. Un chiarimento terminologico
Come è noto, il termine “laico” deriva dal greco laikos che indica essenzialmente ciò che si riferisce al laos, vale a dire al popolo. E’ opportuno chiarire subito il senso di questa derivazione. Laos è il popolo inteso non come entità politica – per il quale i greci adoperavano il termine demos – ma il popolo potremmo dire come entità pre-politica o a-politica, il popolo come moltitudine ancora indistinta e indeterminata, della quale tutti facciamo naturalmente parte. In origine, dunque, il termine laikos non implica alcun antagonismo con la sfera religiosa, come è confermato dal fatto che nella vulgata, il termine laos, da cui deriva laico, è usato per indicare il popolo di fedeli, in opposizione a quello dei pagani.
A conferma di tutto ciò, basti pensare che la prima formulazione che si conosca del principio della laicità si può ritrovare non in un teorico dello stato o della politica, ma in un papa. Alla fine del V secolo, papa Gelasio I esponeva in un trattato e in alcune lettere la teoria detta delle due spade, destinata a restare per secoli la dottrina ufficiale della Chiesa, secondo la quale vi sono due poteri distinti, entrambi derivati da Dio, il potere del papa e quello dell’imperatore. Il paradosso è che, affermando la distinzione, e insieme la derivazione divina delle due “spade”, ciò che si intendeva perseguire non era l’autonomia dello Stato dalla Chiesa ma, esattamente al contrario, la piena indipendenza della religione e dei suoi ministri da ogni tentativo di ingerenza della sfera politica. Sviluppato nei secoli successivi da pensatori come Marsilio da Padova e Guglielmo di Occam, e poi riattualizzato dallo stesso Galilei con la distinzione fra il linguaggio della natura e il linguaggio della Sacra Scrittura, la dottrina delle “due spade” è poi diventata il fondamento indiscusso della cultura moderna, posto in discussione soltanto nei regimi totalitari, i quali puntano a cancellare l’autonomia delle diverse sfere, imponendo coercitivamente l’obbedienza ad un’ideologia esclusiva.
Come risulta dal chiarimento storico-etimologico ora proposto, la laicità non è dunque una prerogativa dello Stato rispetto alla religione, né tanto meno implica un atteggiamento ostile rispetto alla religione o alla gerarchia ecclesiastica. Il principio della laicità indica piuttosto l’autonomia delle diverse sfere, vale a dire la necessità che le diverse attività umane si svolgano secondo regole proprie, che non siano imposte dall’esterno per fini o interessi diversi da quelli a cui ciascuna di essa si ispira. Di qui allora il fatto che si possa parlare (come effettivamente accade) di un atteggiamento “laico” da parte dello scienziato, intendendo alludere non ad una specifica presa di posizione sul tema dei rapporti fra politica e religione, ma piuttosto ad una autonomia della ricerca scientifica rispetto ad ogni forma di condizionamento esterno, qualunque sia la “natura” di tale condizionamento.
D’altra parte, se si esplicitano ulteriormente le implicazioni connesse al significato originario del termine “laico”, si deve aggiungere che la laicità, intesa come rispetto delle diverse autonomie, non coincide affatto nè con l’agnosticismo né ancor meno con un’attitudine di generico indifferentismo, soprattutto per quanto riguarda grandi scelte di valore. Non è laico, ad esempio, uno stato che lasci sussistere soprusi o violazioni nei confronti di ciò che avrebbe diritto all’autonomia. Il che vuol dire che il rispetto dell’autonomia si esprime non mediante un “indebolimento” dei valori in campo, e quindi mediante la ricerca di un compromesso, ma al contrario attraverso lo sforzo teso ad una coerente affermazione di princìpi e valori.
Rapportato a questo spessore di problemi, qui indicati inevitabilmente in forma molto sommaria, si può se non altro intuire quanto sia culturalmente povero, per certi aspetti primitivo, il dibattito in corso sulla laicità o sulla tutela delle radici cristiane. E si può capire fino a che punto, fingendo di perseguire la difesa di grandi idealità, si punti in realtà a ben altro, vale a dire ad alimentare la polemica politica travestendola da dibattito filosofico.
2. In margine al dibattito sulla bioetica
L’impressione predominante è quella di trovarsi di fronte ad un paradosso: quanto più si ripetono e si moltiplicano i casi in cui è obbiettivamente difficile, se non addirittura temerario, pronunciare giudizi, tanto più si assiste alla formulazione di sentenze perentorie, di affermazioni apodittiche. Quanto più frequentemente affiorano situazioni nelle quali sono in gioco valori e sensibilità che dovrebbero essere trattati con la massima delicatezza e con la necessaria problematicità, tanto più pesante e senza riguardo è l’intervento di coloro che, cattolici o laici, si autoproclamano portatori di verità indiscutibili. E’ già accaduto, nel recente passato, soprattutto a ridosso del referendum sulla procreazione assistita, quando la discussione è andata ben oltre il civile confronto fra posizioni diverse in merito ad una legge dello Stato, per assumere il carattere di una guerra ideologica, di una contrapposizione fra coloro che si sono proposti come difensori ad oltranza della vita e coloro che sono stati accusati di propugnare la trasformazione del concepimento in un supermercato degli embrioni. Sta puntualmente riproponendosi nelle ultime settimane, con tonalità culturalmente perfino peggiori, sulla spinta delle decisioni assunte dal Sinodo dei vescovi in materia di aborto e del pronunciamento del Comitato di bioetica, per quanto riguarda la prosecuzione dell’alimentazione di soggetti in coma vegetativo permanente. In tutti i casi, l’atteggiamento più diffuso è quello, arrogante e spavaldo, di chi non sia minimamente disponibile a confrontarsi con le posizioni altrui, ma punti esclusivamente ad imporre la propria, chiamando a sostegno la presunta evidenza dei risultati raggiunti dalla medicina e dalle scienze. Con la conseguenza inevitabile di far precipitare il dibattito su un piano nel quale si abbandona ogni ragionevole prudenza, si rinuncia totalmente ai benefici effetti del dubbio, si opta decisamente per lo scontro frontale, anziché per la ricerca di possibili soluzioni condivise o di compromessi decenti. Tutto ciò, proprio mentre le questioni da affrontare ruotano intorno a concetti – come quelli di vita e di morte – che sono massimamente controversi, intorno ai quali da sempre si è esercitata la riflessione dei filosofi, senza peraltro poter mai conseguire una risposta definitiva e soddisfacente.
La scelta della Chiesa di Ratzinger appare ormai sempre più evidente: proporre il Cristianesimo non come messaggio escatologico, rivolto a quel compimento dei tempi che trascende ogni “attualità” e ogni miseria presente, ma piuttosto puntare ad imporlo come etica, come codice di prescrizioni per questa vita e questa realtà storicamente definita, insomma davvero come religio, come legame che stringe e condiziona gli atti della quotidianità, piuttosto che come fede, in quanto tale lontanissima da ogni idolatrica superstitio. Come già era apparso chiaro fin dal discorso De eligendo romano pontifice, pronunciato proprio alla vigilia della sua ascesa al soglio, Benedetto XVI intende segnare una brusca rottura continuità rispetto al papato di Woytjla. Più esattamente, egli si propone di valorizzare unilateralmente solo una delle due direttrici seguite da Giovanni Paolo II, riportando brutalmente la Chiesa nel bel mezzo della dialettica politica italiana ed europea, e cancellando quasi del tutto l’ispirazione profetica che, sebbene a tratti e non sempre con coerenza, si era espressa durante il pontificato del suo predecessore. Il pesante intervento del Cardinal Ruini, le decisioni del Sinodo dei Vescovi, la forzatura imposta all’interno del comitato di bioetica, con l’esclusione di fatto di ogni possibile discussione sull’eutanasia, sono atti che convergono tutti sul medesimo obbiettivo, che confermano l’esistenza di una linea politica molto precisa, certamente lontana dalla vocazione ecumenica e dall’afflato pastorale di papa Woytjla.
Si consuma, così, forse in maniera irreparabile, una opportunità che il nostro paese non avrebbe dovuto mancare, per poter davvero completare il processo che dovrebbe condurlo ad essere almeno un paese normale. La possibilità di affrontare tematiche così complesse e delicate, così dense di implicazioni e spesso così laceranti, con il massimo rigore e la massima libertà critica, senza doversi accodare dietro le insegne di questo o quel partito, di questa o quella istituzione. Questa chiamata alle armi dei cattolici, contro le presunte aberrazioni della società attuale, non soltanto è destinata a reintrodurre un clima malato e pericoloso, ma soprattutto reca un grave torto alla coscienza delle tantissime persone per bene, alle quali il messaggio del Cristo suona come un richiamo verso un altro mondo, piuttosto che come un appello a sostenere una transeunte formazione politica. Si preparano tempi tristi. In questa inopinata discesa in campo dell’alto clero cattolico, si intravedono i nefasti riflessi di una stagione di conflitti e di reciproche chiusure che si sperava definitivamente archiviata.
3. Sull’eutanasia.
Un’autentica contraddizione, inevitabilmente destinata a determinare lacerazioni anche dolorose, è alla base della questione dell’eutanasia. Da un lato, è difficile immaginare un problema che sia così legato a casi individuali e situazioni particolari, così irriducibile ad astratti criteri generali, quale è quello della cosiddetta “buona morte”. Dall’altro lato, la politica è per definizione il tentativo di ricondurre sul piano generale della comunità ciò che riguarda la vita degli individui. Per esprimere la contraddizione in altri termini: mentre sul piano dell’etica si è sempre portati a compiere scelte nette, coerenti con alcuni princìpi, la politica altro non è se non la ricerca di un compromesso fra posizioni contrastanti, e dunque implica anche la capacità di mettere tra parentesi i princìpi. Ma questa contraddizione è poi ulteriormente aggravata da una circostanza fondamentale, anche se troppo spesso dimenticata. Pur essendo di per sé poco adatta a trattare questioni come quella della eutanasia, sempre meno la politica può evitare di occuparsene. Al contrario, come è già emerso in occasione del referendum sulla procreazione assistita, nei prossimi decenni al centro del dibattito politico e delle iniziative legislative, accanto ai temi dell’economia e della politica estera, vi saranno sempre di più gli argomenti che riguardano la vita e la morte delle persone: dalla fecondazione artificiale fino all’aborto e alla “buona morte”. In questo quadro generale, provoca sgomento e inquietudine il tono che sta assumendo in particolare la discussione sull’eutanasia: mentre ancora latitano riflessioni adeguate di taglio teorico e culturale – le uniche che, in questa fase, potrebbero servire a porre adeguatamente il problema – i politici stanno offrendo un’ennesima prova di ottusità e cinismo, avventandosi su questo argomento ciascuno come se avesse la verità in tasca, ciascuno con la sua soluzione prefabbricata. Come se sul dolore di un uomo si potesse intervenire per decreto. Come se sul confine fra tutela della dignità della vita e omicidio si potesse decidere a maggioranza. Come se anche a questo proposito avesse senso distinguere fra sinistra moderata e sinistra radicale. Di qui alcune autentiche mostruosità, puntualmente rilanciate dai media, quali quelle di partiti che pretendono di possedere una loro specifica opzione sul tema dell’eutanasia, suggerendo l’idea che anch’essa possa essere trattata in un modo o nell’altro, a seconda che si sia al governo ovvero all’opposizione. Fino alla ridicolaggine pura di enunciare una “posizione UDC” sull’eutanasia, come se Casini e Buttiglione, Volontè e Cesa formassero una scuola di pensiero, piuttosto che una combriccola di politicanti. L’unica cosa decente da proporre, nel marasma che già si profila, sarebbe l’assunzione di una sorta di codice di comportamento, al quale tutte le persone per bene dovrebbero spontaneamente sottomettersi. Poiché è assurdo e perfino blasfemo dare a intendere che su argomenti di questa delicatezza e complessità vi possano essere certezze, qualunque siano i presupposti e le convinzioni di ciascuno, si dovrebbe inaugurare un nuovo stile di confronto, improntato davvero al rispetto per le posizioni di tutti e alla sincera ricerca di un possibile punto di equilibrio. Bandendo una volta per tutte le prediche di qualunque segno, i toni da crociata, la somministrazione di presunte verità intangibili. Ben sapendo che, in ogni caso, non vi è mistero più oscuro e impenetrabile, più insondabile e carico di angoscia, di quello che riguarda la vita e la morte di un uomo.