Sul Partito democratico e il Movimento 5 Stelle
di Bruno Moroncini
Tutto quello che c’era da dire su Grillo e il Movimento 5 stelle lo ha detto Ernesto Galli Della Loggia in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera (Lunedì 13 maggio 2013) e intitolato Gli antagonisti del no a tutto. Quello che ha scritto Ernesto Galli Della Loggia è esattamente ciò che avremmo voluto sentire da uno qualsiasi dei dirigenti del Partito democratico e/o da uno qualsiasi dei sedicenti intellettuali di sinistra che fanno parte del gruppo di Repubblica e/o ancora da uno qualsiasi dei teorici della sinistra alternativa e antagonista. Invece niente, anzi scimiottamenti, inseguimenti, blandizie e ammiccamenti. Per sentire qualcuno dire che «la cultura, o forse meglio, l’antropologia che si esprime nel M5S non ha più assolutamente nulla dell’antico sfondo marxista, non ha alcuna ispirazione classista, non prefigura né immagina alcuna fondazione di rapporti sociali nuovi», ma al contrario è mossa «da una sorta di irrefrenabile estremismo democratico nel quale sembra incarnarsi una volontà assoluta di eguaglianza, o per meglio dire, di equiparazione, di livellamento: quella stessa che Tocqueville vedeva con inquietudine come l’inevitabile frutto della società democratica», abbiamo dovuto aspettare uno storico e un intellettuale che con la tradizione marxista ha poco o nulla a che fare. Ciò la dice lunga sullo stato di catatonia intellettuale e politica in cui versa il Partito democratico, erede nel bene e nel male della tradizione del Partito comunista italiano, e insieme a lui la buona parte dei teorici della nuova (?) sinistra per i quali – vedi per tutti Toni Negri e Marco Revelli – Marx è diventato un cane morto.
Nel Movimento 5 Stelle, continua Della Loggia «non c’è volontà di distribuzione delle ricchezze, bensì cancellazione di qualunque cosa possa apparire un privilegio. Non c’è alcuna noncuranza per la formalità delle leggi, bensì il sogno di una giuridizzazioone universale, di una normazione estesa a tutto. Non c’è visione di classe, bensì utopia di una cittadinanza planetaria articolata in diritti eguali per tutti gli esseri umani senza distinzione alcuna». Tralascio le osservazioni di Della Loggia sull’uso della Carta costituzionale brandita come una sorta «di inappellabile ‘Tavola della legge’» che invece di additare un «progetto sociale per quanto ardito» (e, aggiungo io, in questo senso già in gran parte censurabile) è chiamata a incarnare «un inveramento etico da adempiere», e passo alle sue ultime osservazioni sul dogma della ‘trasparenza’ e sul ‘movimentismo’ italiano di cui il Movimento 5 Stelle sarebbe l’ultima (in ordine di tempo solamente, purtroppo) incarnazione. Per il primo punto vale l’uso dell’ideologia della rete caratterizzata da una specie di imperativo categorico per il quale «tutto deve essere comunicato a tutti, visto e ascoltato da tutti, partecipato da tutti, rendicontato a tutti: quasi a prefigurare un potere capillarmente distribuito, il controllo di ognuno su tutti, e di tutti su ciascuno: un potere con la sua sede ideale in un ‘panopticum’».
Per l’altro punto il Movimento 5 Stelle per Galli Della Loggia è «il precipitato di venti-trenta anni di movimentismo italiano di ogni colore (femminile, omosessuale, viola, studentesco, dei beni comuni, ecc…)» basato sulla «rivendicazione di ‘diritti’» sulla «invocata centralità della dimensione giudiziaria», sulla «demonizzazione spesso paranoica di qualcunque cosa appaia un ‘potere’», e sulla «sfiducia verso qualunque istanza organizzativa stabile». Il Movimento 5 Stelle è insomma l’erede, in un paese in cui la struttura politico-statuale è debole e inefficiente e di conseguenza screditata, della «cultura per antonomasia della ‘protesta, dell’antagonismo’ del ‘rifiuto’», quella stessa cultura, malinconica e parolaia, che già negli anni trenta Walter Benjamin accusava sarcasticamente di essere non a sinistra di questo o di quello ma semplicemente a «sinistra del possibile»: la cultura politica (ma più propriamente pre- e im-politica) del massimalismo italiano che, nel ’68, tanto per fare un esempio concreto, vestì i panni di Lotta continua.
In base ad una classica interpretazione marxista e comunista, di cui non mi vergogno ma rivendico, il Movimento 5 Stelle, non da solo, ma in modo eminente, costituisce la proiezione politica (?) di una piccola borghesia che, impaurita dagli effetti impoverenti e simbolicamente declassanti della crisi ciclica del capitale, risponde allo scivolamento sempre più accelerato nei ranghi della classe operaia con l’attivazione di un democraticismo estremistico che, in base alla più tradizionale critica della democrazia, è solo il prodromo di soluzioni autoritarie e tiranniche. Tenendo nel giusto conto l’assoluta imparagonabilità dei tempi e delle condizioni, non mostrando alcuna accondiscenza ai corsi e ricorsi storici che con la storia propriamente detta non hanno nulla a che fare, tuttavia il Movimento 5 Stelle sembra convalidare la tesi nietzschena sull’eterno ritorno dell’identico: il Novecento, il secolo breve
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di lunga durata, ci ha abituati a movimenti che nati a sinistra virano a destra con la velocità del fulmine.
Il fatto che il Partito democratico appaia incapace di sviluppare un’analisi di classe dei movimenti che si agitano alla sua sinistra di cui teme semplicemente la concorrenza e che in nessun caso considera un nemico, dimostra quanto sia cambiata la sua composizione di classe che non ha più il suo nucleo nei produttori di plus-valore (ciò che una volta si chiamava proletariato o classe operaia), ma in strati sociali analoghi se non simili a quelli che si riconoscono nel Movimento 5 Stelle e che sono soltanto un po’ più conservatori e pantofolai: o per età (i pensionati) o per reddito e posizione (pubblico impiego e ceti medi riflessivi).
Per parafrasare Lacan, che comunque si riferiva a Dio e quindi scusandomi per l’accostamento, molti dirigenti del Partito democratico e una gran parte della base (oh, la base: mito funesto della sinistra pseudo democratica) sono morti e non lo sanno ancora. Bisognerebbe informarli affinché si sveglino e come i fantasmi di una divertente serie televisiva abbandonino la terra e si incamminino una buona volta verso la luce. Il loro scomposto e frenetico agitarsi, occupando sedi e lanciando proclami in compiacenti talk show televisivi, assomiglia ai movimenti che meccanicamente continuano anche dopo la morte trasformando i cadaveri in tristi marionette.
Dopo l’errore di far vincere Bersani alle primarie, dopo una campagna elettore presuntuosa e il deludente risultato delle urne, dopo il suicidio nemmeno assistito della doppia votazione per l’elezione del presidente della Repubblica, dopo il pellegrinaggio da Napolitano perché accettasse di essere rieletto, sconfessando tutta la strategia perseguita fino allora e che era di manifesta opposizione alla linea del loro (?) presidente della Repubblica, dopo l’accettazione a testa bassa del governo di larghe intese (di nuovo l’opzione politica di Napolitano), che cosa aspetta ancora il Partito democratico per decidere di sciogliersi? Per riconoscere di essere nato morto? Per dire finalmente che i due riformismi, cattolico e socialista, di cui doveva essere la sintesi, trasformando il compromesso storico, vale a dire riguardante l’intero paese, di cui parlava Berlinguer, nel compromesso
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in e di un solo partito, erano già morti e sepolti allora, liquidati dalla globalizzazione e dal nuovo assetto del mondo?
E se non vuole sciogliersi la smetta allora di accarezzare il Movimento 5 Stelle, di sposare le sue parole d’ordine che hanno come unico scopo la sconfitta del Partito democratico, e ne denunci invece il democraticismo cripto-fascista, la perversione normativista e giudiziaria, il disprezzo piccolo borghese per il benessere operaio racchiuso nell’equazione imbecille fra povertà e felicità. Se non vuole sciogliersi si intesti il governo di larghe intese che d’altronde è presieduto dal suo ex vice segretario, la smetta di inveire ancora una volta contro Berlusconi, lo dichiari eleggibile e eletto a vita, getti a mare la sua attuale base sociale e rivolti questo paese come un calzino.