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Da Marilyn Monroe a 

Lady Gaga

di Enrico Garlaschelli

I - Lady Gaga: il lato sinistro di Marilyn

 

 

Che cosa sta succedendo? Domandava Marc Augé in uno strano libro che portava in copertina la foto di una partita di calcio. L’autore si applicava, stendendo l’ultimo capitolo, nell’impresa impossibile di raccontare in tempo reale il significato degli eventi trasformandolo nell’evento del significato.

Siamo ancora davanti al classico problema filosofico che M. Blanchot esprime radicalmente quando scrive che «qualcosa è scomparso. Come ritrovarlo, come rivolgersi a qualcosa che è prima, se tutto il mio potere consiste nel farne ciò che è dopo? Il linguaggio della letteratura è la ricerca di questo momento che la precede. Generalmente lo chiama esistenza»1. 

E tuttavia sappiamo che l’esistenza si mostra celandosi, è l’oscuro da cui bisogna allontanarsi per poterne parlare e che tuttavia non ne costituisce la negazione, bensì la sua condizione di possibilità.

Non è forse troppo significativo ritrovare questa metafora della luce nelle sfocate parole di Lady Gaga, quando, soffusamente, si lancia in ardite considerazioni: «Se sei sotto la luce, devi per forza creare un’ombra». E tuttavia siamo condotti, nel nostro dire, verso quell’ombra; questa metafora ci impone di considerare ciò che diremo nel declino della luce, ci conduce all’estrema prospettiva blanchottiana di “vegliare sul senso assente”. È una certa assenza che si mostra perché si produca senso; l’inafferrabile che crea effetti di dislocazione, di alterità. 

Lady Gaga non è un’icona del nostro tempo perché ne ha sposato gli stilemi, così come Marilyn Monroe non è semplicemente l’immagine della sua epoca, perché per essere tale sarebbe bastata una qualsiasi Jayne Mansfield. Se fosse così, Andy Warhol non ne avrebbe potuto distruggerne l’immagine per farne apparire l’inafferrabile, inconfessabile significato.

Allo stesso modo Lady Gaga non è un qualsiasi Rihanna.

Noi qui dobbiamo subito dire che non è tutto – come spesso si dice di Lady Gaga - uno “spettacolo” istrionico e ruffiano, ed anzi, che l’ambiguità di Lady Gaga ci immunizza dalla pienezza che pensiamo di trovare nello sguardo di Marilyn, per sottrarci a quella minaccia di annientamento che invece non sta nei travestimenti di Lady Gaga, ma proprio nella pienezza illusoria che «sostituisce il vuoto con qualcosa di pieno, la minaccia di annientamento con una pienezza garantita, con un’identità certa»2.

La strada ci è indicata da Andy Warhol, il quale, nel riprodurre il volto di Marilyn, nello scomporre la sua immagine in parti che paiono tra loro come assemblate3 viveva Marilyn con la trasformazione del corpo vissuto in merce di scambio. Ma la serialità di Warhol è anche una ferita, una lacerazione nel nostro desiderio, inesorabilmente spinto a dimenticare la natura fantasmatica del suo oggetto, nella sua dolorosa inafferrabilità, per perdersi, farsi assorbire, dalla fascinazione dello spettacolo. 

È la rivelazione di un certo nulla che appare sullo sfondo dello sguardo di Marilyn, nella riproduzione seriale dell’immagine del suo volto, a scuoterci dal nostro oblio. E tuttavia noi non stiamo compiendo un percorso verso un di più di consapevolezza, come a voler neutralizzare il feticismo dell’immagine; il sogno della merce non finisce4 e ci lascia «a oscillare fra la fascinazione della pienezza e la minaccia del nulla»: «Il volto di Marylin sembra una maschera colta nell’attimo del suo possibile sgretolamento. Lo spettacolo rimane così in sospeso tra l’immagine mitica di Marilyn, per lui  [A. Warhol] ormai consueta, col suo aspetto pieno, positivo, splendente – e questa maschera artificiale che sfigura ogni apparenza corporea e rivela la precaria consistenza del simulacro tecnologico»5.

Il volto di Marilyn, colto nell’attimo del suo possibile sgretolamento, sembra fare del presente l’Ora della conoscibilità indicata da  Benjamin nella catastrofe silenziosa delle cose: “lampada accesa all’ultimo giorno”. Rivelazione che non è il passaggio ad una positività altrettanto mistificante e neppure la sclerosi spettrale delle immagini che si ripetono, ma «immagine dialettica: e cioè espressione di un conflitto in atto e di un’apertura oltre di esso»6.

Tale apertura porta in Lévinas il nome di volto, che è trauma, lacerazione, esposizione. Il volto è la strada verso l’inesprimibile, l’immediato che qualifica la nostra esperienza affinché tutto non appaia il gioco di specchi della fiction economy. 

Non c’è più la fascinazione degli occhi e della bocca di Marilyn in una sua drammatica immagine che A. Neuman è riuscito a cogliere7caduta e non appare più intollerabile.

Noi abbiamo visto Marilyn come non abbiamo visto Lady Gaga. Forse una volta, un giornalista che è entrato nella sua camera d’albergo, e ha raccontato di una prosaica ragazza che gli parlava di cose semplici. E quando è uscito ha pensato che no, non era lei Lady Gaga, ma Stefani Germanotta.

Differenza decisamente rifiutata da Lady Gaga «What are you looking for?» esclama quando le si chiede dove sia la ragazza che era: «I’m here!».Dunque dove sta la sua ombra di cui lei stessa parla? 

Quello sguardo di Marilyn ormai sgretolato nella foto di Neuman dice ancora la bellezza di Marilyn: dice quello che la sua bellezza diceva senza possibilità di dirlo, dice quello che cerchiamo nella bellezza nell’impossibilità di trovarlo: un corpo che sia quel corpo che la bellezza nel suo splendore nasconde e pure ti fa desiderare. Quel corpo sgretolato è la bellezza che dimentica se stessa, la bellezza che non possiedi. 

La bellezza ha a che fare col tempo, così quando vedi gli occhi e la bocca di Marilyn non pensi: quanto è  bella, ma “chissà come sarebbebello”. Ed è per questo che la bellezza di Rihanna ci è indifferente e le gambe di Madonna saranno solo delle sportivissime gambe atletiche. La bellezza sta più in là, nella possibilità che un volto non si sgretoli, nonostante la lama del tempo te lo lasci supporre: esposizione, vulnerabilità.

Invece su Lady Gaga non abbiamo la foto di Neuman, ma solo alcune immagini di gambe e fianchi ingrossati, in relazione ad una sua supposta gravidanza. Nulla che possa dirci qualcosa. Dove sta la sua ombra, di cui lei stessa parlava? Quelle gambe sorprendentemente ingrassate e gli occhi spenti sotto il trucco pesante somigliano forse di più alla nera superficie descritta dall’ulteriore ritratto che Warhol fa di Marilyn in Black on blue Green: l’oscuro che Blanchot chiamerebbe il neutro, una “passività simile alla morte”, l’oscurità dove tutto è assorbito e nulla sembra più accadere. 

In questa ultima riproduzione di Warhol non c’è più lo sguardo di Marilyn, quel nulla in fondo ai suoi occhi, la sua bellezza, l’assenza dove sembrava accadere qualcosa, seppur qualcosa di impossibile perché era qualcosa che cadeva, una visitazione. Stiamo qui pensando alla fine dell’esperienza in un accadere anonimo così come viene raccontato in Thomas l’Obscur di Blanchot: non c’è più il nulla dello sguardo, l’inesprimibile che traluceva nel volto. Oppure tale inesprimibile è diventato presenza spettrale, dove sembra andare l’arte di Warhol in opere come Skulls8.

Sommersi dal trucco pesante, gli occhi di Lady Gaga rimangono nella cavità delle proprie orbite, ombre senza possibilità di redenzione, il lato sinistro della creazione9. Ha detto Lady Gaga che la creatività le deriva dal suo essere mancina. È sul lato sinistro, spiega, che tiene tutti i suoi tatuaggi, mentre dall’altra parte è  “normale come Marilyn Monroe”.

 

 

 

 

1. M. Blanchot, Da Kafka a Kafka, trad. it. di R. Ferrara, D. Grange Fiori, G. Patrizi, L. Prato Caruso, G. Urso, G. Zanobetti, Feltrinelli, Milano 1983, p. 33.

2. G. Concato, L’Angelo e la marionetta, Milano 1996, p. 42.

3. Cfr., A. Warhol, Shot Orange Marilyn.

4. Cfr., S. Petrosino, Capovolgimenti, Jaca Book, Milano 2008.

5. A. Pezzella, Il volto di Marilyn. L’esperienza del mito nella modernità, Manifestolibri, Roma 1999, p. 77.

6. Ibid., p. 83.

7. Cfr., A. Neuman, Marilyn Monroe, 1962. Metterei ai piedi di questa foto le parole di Lévinas: “Il disvelamento del volto è nudità – non forma – abbandono di sé, invecchiamento, morire; più nudo della nudità: povertà, pelle rugosa; pelle rugosa: traccia di se stesso […]. Volto avvicinato, contatto di una pelle: volto che si appesantisce di pelle e pelle in cui, fin nell’oscenità, respira il volto alterato […]. L’immediatezza è la defezione della rappresentazione in volto, in “astrazione concreta”, strappata al mondo, agli orizzonti, alle condizioni, incrostata nella significazione senza contesto dell’uno-per-l’altro che viene dal vuoto dello spazio, dello spazio significante il vuoto, dello spazio deserto e desolato, inabitabile come l’omogeneità geometrica” (E. Lévinas, Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Nijhoff, La Haye 1974, trad. it. di M.T. Aiello e S. Petrosino, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983, pp. 110-114.

8. Cfr.,  A. Warhol, Skulls, 1976.

9. E tuttavia sappiamo che la creazione non potrebbe essere, se non nella dinamica fra il lato sinistro e il lato destro.

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