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Le forme dell’antipolitica

di Umberto Curi

Ci possono essere – e vi sono effettivamente stati – due modi molto diversi di concepire e di praticare l’antipolitica. Il primo è quello che si esprime in una critica, quanto più puntuale e argomentata possibile, del modo in cui determinati esponenti politici interpretano il loro ruolo e svolgono la loro attività. Secondo questa accezione, in discussione non è la politica in quanto tale, ma le modalità specifiche con le quali essa è tradotta in pratica da alcuni personaggi, sprovvisti delle qualità necessarie all’espletamento dei loro compiti. Vi è poi un modo affatto differente di declinare l’antipolitica, ed è quello di chi pretende di sottoporre a giudizio non comportamenti di singoli individui o di partiti, ma piuttosto del “sistema” in quanto tale e delle istituzioni che ne costituiscono l’architrave. Questa forma di antipolitica si è espressa ad esempio, in tempi recenti, nel tentativo messo in campo da Berlusconi di delegittimare il Parlamento, l’ordinamento giudiziario, la Presidenza della Repubblica, il Consiglio superiore della magistratura: in una parola, tutti gli istituti nei quali si articola la forma democratico-rappresentativa della nostra Repubblica. Nella prima accezione, non vi è proprio nulla  di vagamente “qualunquistico”, perché anzi la critica è indirizzata selettivamente a coloro che appaiano inadeguati per le loro funzioni, al punto da poter affermare che l’antipolitica è in realtà manifestazione della delusione di chi non solo non è contro la politica, ma anzi ne ha una considerazione talmente elevata, da non accettare che essa venga in qualche modo profanata da azioni sconvenienti. Una sorta di “amante deluso”, insomma, dove l’oggetto dell’amore sarebbe proprio la politica, vista nel suo aspetto migliore. Nella variante berlusconiana, invece, l’antipolitica si propone in una forma assai più subdola e pericolosa. Troppo spesso si dimentica, infatti, che, storicamente e concettualmente, la politica è il terreno nel quale coloro che sono socialmente più deboli e svantaggiati possono cercare di affermare le proprie ragioni. Mentre coloro che sono più forti, quanti dispongano di risorse di vario genere sulle quali fare leva, non hanno bisogno della politica per imporsi, e dunque possono cercare di screditarla senza temere di veder limitata la loro influenza. Questo abbozzo di ragionamento (i cui sviluppi sono peraltro facilmente intuibili) dovrebbe essere tenuto ben presente quando si accomunano sotto il medesimo denominatore fenomeni fra loro diversissimi, e anzi talora opposti. Tanto per capirsi meglio: mentre l’obbiettivo dichiarato dell’antipolitica nella versione berlusconiana è il “sistema” politico in quanto tale, inteso come limite e impaccio da superare, allo scopo di poter più liberamente ed efficacemente sviluppare l’iniziativa del leader, il governo presieduto da Monti scaturisce da un presupposto di segno contrario, quale è quello di restituire credibilità e prestigio ad istituzioni democratiche da troppo tempo svuotate di autorevolezza. Un punto dovrebbe in ogni caso risultare definitivamente chiarito. Detto in termini molto elementari: sono soprattutto le persone per bene, i cittadini onesti,  coloro i quali dovrebbero agire come i “custodi” della politica, dovrebbero vigilare contro i tentativi di togliere ad essa credito e incidenza. Ai detentori del potere reale, ai pochi soggetti dotati di incisivi strumenti di influenza e di intervento, la politica non serve, e anzi può risultare fastidiosamente limitativa della propria “volontà di potenza”. Mentre non dobbiamo dimenticare che, con tutte le sue insufficienze, la politica resta l’unico terreno sul quale tutti noi possiamo cercare di far prevalere il giusto sull’ingiusto, il migliore rispetto al peggiore, la verità sulla menzogna.  

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