Salviamo l’Università
di Umberto Curi
L’aspetto forse più preoccupante dell’intera questione è lo scarto fra la gravità oggettiva della situazione e il livello di consapevolezza diffuso nel- la pubblica opinione. Grazie all’indubbia abilità comunicativa dei ministri competenti, e alla complicità talora involontaria dei grandi organi di infor- mazione, nell’immaginario collettivo è ormai passata, e si è anzi consolidata, un’immagine dell’Università italiana come luogo degli abusi e degli sperpe- ri, come sede nella quale si compiono le peggiori nefandezze, come paradiso dei fannulloni e degli incompetenti. E’ bastato che Gelmini citasse il corso di laurea in “cucina mediterranea”, o che Tremonti evocasse la categoria dei baroni accademici, perché nella gente si insinuasse la convinzione che la massiccia razione di tagli, amputazioni e drastici ridimensionamenti, in- trodotti o programmati dalla funesta coppia di ministri, fossero sacrosanti, e che anzi quanto sta ora accadendo – vale a dire, né più né meno che lo smantellamento sistematico dell’università italiana – fosse salutato dal con- senso generale della stragrande maggioranza dei cittadini. Ignari del fatto che la mannaia delle decurtazioni lineari ha colpito indiscriminatamente, e con pesantezza inaudita, tutto ciò che riguarda la formazione superiore, indipendentemente dal “merito” e dalla necessità. Con la conseguenza che, mentre è probabile che “cucina mediterranea” possa sopravvivere, ad essere
penalizzati in maniera irreparabile potranno essere i centri pulsanti della ricerca scienti ca, in campo medico, ingegneristico, nel settore delle scienze umano-sociali, nella ricerca di base. D’altra parte, è doveroso riconoscere che questo violento attacco all’istituzione universitaria nel suo insieme de- riva anche dall’incapacità degli organismi accademici, e dello stesso corpo docente, di avviare una seria analisi autocritica, dalla quale far discendere anche un necessario processo di autoriforma, mirante ad eliminare ciò che davvero andava cambiato o cancellato. Probabilmente, al punto in cui siamo arrivati, è davvero troppo tardi. Una buona metà dei tagli imposti dal piano elaborato da Tremonti sono già stati effettuati, con conseguenze largamente irreparabili. La seconda metà è già in arrivo, e non si vede chi o cosa po- trà impedire che si abbatta su ciò che resta (davvero poco) dell’Università. Il colpo di grazia seguirà subito dopo, nelle prime settimane del prossimo anno, o addirittura prima, quando il disegno di legge voluto da Gelmini sarà stato de nitivamente approvato dal Parlamento. Dopo questo autentico tsu- nami, lo scenario offerto dall’Università italiana sarà quello di un città bom- bardata. Qua e là, resterà in piedi qualcosa, più che altro come testimonian- za del passato, qualche isola, non necessariamente perché più “meritevole”, si sarà miracolosamente salvata, qualche casamatta sarà rimasta indenne. Su questo vero e proprio campo di macerie, è possibile che oriscano alcune iniziative private, ovviamente mirate principalmente alla realizzazione del pro tto, piuttosto che alla valorizzazione dell’ingegno, mentre per il resto il de nitivo degrado delle istituzioni formative superiori sarà diventato un dato irreversibile. I cittadini devono saperlo. La protesta che è in atto nelle università italiane, guidata soprattutto dalla fascia giovane dei docenti, vale a dire dai ricercatori, non difende privilegi, non chiede favori, non elemosina prebende. Si oppone ad un lucido e consapevole progetto di demolizione dell’Università. Cerca letteralmente di resistere – non può fare altro, alme- no per il momento – ad una ferocia distruttiva senza precedenti. Se non si vuole dare ascolto alle parole, si guardino i fatti: già nell’ormai imminente anno accademico saranno centinaia gli insegnamenti che taceranno, in tutte le Facoltà. I corsi che potranno funzionare saranno costretti ad ospitare il doppio o il triplo degli studenti che “ siologicamente” dovrebbero frequen- tarli. I giovani saranno costretti in aule totalmente inadeguate a seguire se- duti per terra, arrampicati sulle nestre, i corsi superstiti da questa falcidie. I tagli selvaggi imposti alla ricerca faranno ulteriormente precipitare il livello qualitativo delle nostre strutture accademiche, proseguendo questa rincorsa all’indietro che già ci ha portato ad essere verso gli ultimi posti al mondo. Fermiamo questa follia prima che sia troppo tardi, ammesso di essere an- cora in tempo. Mai come in questa occasione, si può dire che in gioco è il futuro di questo paese. Di più: a rischio di essere travolta dai nuovi barbari è la civiltà complessiva che si è faticosamente costruita in decenni di lavoro e di sacri ci.