Rigore, sviluppo
equità: sui tre principi del governo Monti
di Elio Matassi
Il mese di gennaio 2010 ha visto un’accelerazione considerevole nell’azione governativa di Mario Monti; liberalizzazioni, semplificazioni, lotta a tutte le corporazioni, che hanno di fatto ingessato lo sviluppo della società italiana, sono diventate finalmente prassi concreta dopo anni di una staticità sostanziale, di un’inerzia che aveva solo favorito ceti e gruppi sociali politicamente afferenti al blocco neopopulista (PdL, Lega), oggi sempre più diviso.
Cominciano ad intravedersi i lineamenti essenziali di un capovolgimento di paradigma concentrato sul primato dello sviluppo, dopo i durissimi provvedimenti prenatalizi, contrassegnati dal principio del rigore, dei parametri europei fissati dalla Banca Centrale.
Sono comunque ormai chiarissimi due aspetti: la crisi che sta attraversando in profondità tutto l’Occidente è una crisi sistematica e non congiunturale; è finita per sempre la retorica connessa alla globalizzazione illimitata, concepita come dominio esclusivo della sfera economica.
L’ipertrofia del momento economico, che ancora domina sulla scena italiana e internazionale, dovrà essere ripensata in modo radicale; il 2012 si presenta come un anno di appuntamenti elettorali particolarmente decisivi (in particolare quello francese e statunitense).
‘Rigore’ e ‘sviluppo’ dovranno dunque essere interpretati come due passaggi strumentali essenziali ma comunque pur sempre propedeutici al terzo principio tanto proclamato e auspicato e, a tutt’oggi, profondamente disatteso, quello dell’equità.
Non possono essere considerate forme di lotte in favore dell’equità le recenti prese di posizione contro l’evasione fiscale: un’evasione così profondamente radicata in quasi tutti gli strati della società italiana da risultare ormai insopportabile.
Se non si opera in profondità contro questa patologia del sistema-Italia, una patologia che non può essere affrontata solo con strumenti propagandistici di facciata, non si riuscirà mai a realizzare il terzo obiettivo, quello veramente irrinunciabile dell’equità.
Sono convinto che l’autorevolezza del governo Monti riuscirà nei primi due obiettivi, risanamento economico e inizio di un nuovo possibile ciclo di sviluppo, ma fallirà completamente sul terzo, come di fatto si sta già intravedendo.
Un’interpretazione di questo tipo, che stabilisca la sequenza corretta della crisi, in primo luogo etica e politica, scandirà necessariamente l’agenda politica dell’anno 2012 e quella del’inizio 2013, quando sarà ormai prossimo, alla scadenza naturale, l’appuntamento elettorale nazionale e non potrà più esservi la riproposizione del Governo Monti con l’attuale, anomala, maggioranza parlamentare.
Comincia a delinearsi uno scenario politico – determinato in larga misura dall’avvento emergenziale del Governo Monti – in cui si assisterà alla progressiva scomposizione del blocco neopopulista. E’ presumibile che l’intuizione di partenza del centrodestra – di una vasta alleanza nella quale far coesistere Bossi, Casini e Fini insieme all’artefice di tale costruzione, l’ex Presidente del Consiglio – non sia più né praticabile né realizzabile.
Le possibili alternative sono solo due: o il ricompattamento di PdL e Lega (ipotesi molto improbabile allo stato dei fatti), o un’alleanza che vada dal Terzo Polo fino al PdL; in tale eventualità vi sarebbe una sicura implosione del maggior partito del centrodestra con una perdita rilevante favorevole ancora a un’alleanza stretta con la Lega.
Entrambe queste alternative aprono al PD uno spazio politico immenso, una ricomposizione-alleanza con le altre forze della sinistra, in particolare SEL e IdV, per realizzare finalmente quel terzo punto, l’equità, la ridistribuzione del reddito che il governo Monti non riuscirà mai a portare a compimento fino in fondo. Rinunciare a un percorso di questo tipo sarebbe per il PD un suicidio politico e culturale a un tempo.
Rimanere schiacciato, in una “subalternità permanente”, all’interno del blocco centrista risulterebbe fatale per il PD e per lo sviluppo della sinistra nel suo insieme.
Un principio di equità che dovrebbe essere applicato a realtà istituzionali, ormai completamente devastate, come la scuola e l’università, dall’egemonia politico-culturale del neoliberismo. Basti solo ricordare come l’applicazione della riforma Gelmini, ormai imminente, provocherà accorpamenti che, snaturandolo, distruggeranno nella sostanza tutto il comparto del sapere umanistico; un delitto compiuto contro una delle nostre più prestigiose tradizioni, considerata ormai dalla classe politica dell’ultimo quindicennio semplicemente come residuale, come una dimensione irrilevante di cui liberarsi progressivamente, come un ‘peso’ da rendere sempre più minimale.
Dal 2007, da quando è nata l’esperienza di Inschibboleth, non faccio che ripetere la formula seguente: non può né potrà mai essere costruita quale che sia dimensione di progresso al prezzo della distruzione del nostro più grande patrimonio, una delle risorse principali che ha consentito all’Italia di avere un rilievo-prestigio autenticamente internazionali.
Si tratto di un disegno miope e suicida che il blocco neopopulista ha condiviso nel lungo tratto del suo governo e che il PD e la sinistra non potranno mai assecondare.
Una scelta diversa per il PD, in un sistema elettorale completamente diverso, di natura proporzionale che favorirebbe il terzo polo e un centro rinnovato dalla veste tecnocratica, in un’alleanza moderata di centrosinistra, potrebbe risultare molto problematica e non riuscire a garantire quel terzo lemma ‘equità’, su cui tanto si investe dal punto di vista retorico-propagandistico, ma su cui si fa molto proprio su quello propriamente effettuale.
Fino a che una delle nostre più grandi risorse, quella della tradizione umanistica non sarà considerata patrimonio comune, un bene comune, parola-chiave del dibattito pubblico contemporaneo, non vi potrà mai essere una reale inversione di tendenza nella realizzazione di una compiuta equità.
Bene comune che va ben al di là di una distinzione-contrapposizione pubblico/privato, che finora ha tanto condizionato il dibattito politico.
Sono queste alcune indicazioni di massima per un’alleanza strategica delle forze i sinistra che dovrebbe finalmente dare compimento al principio di equità in tutte le sue implicazioni.