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Il governo Monti, il Partito Democratico e il gioco delle alleanze

di Elio Matassi

La costituzione del governo Monti, la crisi del blocco neopopulista (la rottura, almeno momentanea, fra PdL e Lega), pongono al Partito Democratico complessi problemi, relativi a una strategia di largo respiro e a una più circoscritta, legata alla gravità della crisi europea ed italiana in particolare.

L’insediamento stesso di un governo ‘tecnico’, espressione della volontà della Presidenza della Repubblica, un governo, ipotesi molto probabile, che consentirà una fine non traumatica della legislatura, pone problemi a entrambi gli schieramenti, centro-destra e centro-sinistra.

Un primo effetto si è già realizzato con la rottura dell’alleanza, datata ormai da un quindicennio, fra PdL e leghismo, una rottura prevedibile e che non potrà essere ricomposta in maniera indolore. E’ ormai evidente che nel PdL sono presenti per così dire due anime che difficilmente potranno convivere: un’anima che si sente attratta da una ripresa dell’alleanza con la Lega (il neopopulismo nella sua declinazione più aggressiva) e una seconda che guarda sempre con maggiore interesse al Terzo Polo, ossia a un’ipotesi ‘neocentrista’. La sintesi fra queste due anime che finora era stata condotta in prima persona dal carisma dell’ex Presidente del Consiglio non sembra avere più una figura rappresentativa che possa gestirla in sua vece.

Non è da considerarsi casuale se i sondaggi stanno registrando sempre più marcatamente una disaffezione crescente dell’elettorato attratto dal neopopulismo e un vistoso calo di consensi concentrato sul PdL, anche se fin’ora non sembra essere stato intercettato dalla Lega, sempre più vistosamente spostatasi verso forme di radicalismo secessionista, che presume quale calcolo politico evidente il default dell’Euro e la caduta del blocco eurocentrico. 

Più complessa la prospettiva del centrosinistra che, almeno nell’immediato, sembra non risentire sul piano elettorale dei rischi connessi all’appoggio totale fornito al governo Monti.

Il PD, che ha investito fortemente su questa ‘tregua’ parlamentare, nonostante la drammaticità del momento economico, è in ascesa elettorale, ma anche l’IdV e SEL stanno tentando una ricollocazione che, senza snaturare la loro vocazione, non faccia fallire la possibile alleanza futura con il PD (il cosiddetto Blocco di Vasto).

L’ambizione del PD, che traspare con grande evidenza dalla sua dirigenza è quella di fare del Governo Monti una passaggio necessario per un’alleanza, questa volta strettamente ‘politica’, che vada dal Terzo Polo fino a Di Pietro e SEL e quindi assumere di fatto una posizione ‘centrale’ nel futuro schieramento. E’ un’ipotesi realizzabile e credibile allo stato dei fatti attuale? O piuttosto il PD dovrà necessariamente scegliere fra Terzo Polo e forze collocate alla sua sinistra? Anche questo problema appare ancora molto controverso e di difficile soluzione.

Nell’auspicio che il Governo Monti riesca, nell’anno e mezzo che grosso modo rimane per la conclusione della legislatura, ad arrestare la gravissima crisi economica – i primi provvedimenti e la soluzione del caso Termini Imerese sembrano andare nella direzione giusta, nel tentare di coniugare rigore ed equità, esigenze di risanamento e giustizia sociale – si porrà subito dopo il gioco delle alleanza e quello, pregiudiziale, di una riflessione su una crisi che non ha nulla di congiunturale ma che si presenta come radicalmente sistemica. Per superare una crisi di tale portata, dopo questa fase transitoria, diventerà indispensabile una interrogazione a trecentosessanta gradi del modello di sviluppo nel tentativo di ricercare un nuovo compromesso fra capitalismo e democrazia. 

A quel punto il PD non potrà non porsi il problema che un partito moderno, di ‘sinistra’ deve avere dinanzi a sé. Per ricostruire lo stato nazionale dalla devastazione operata dal neopopulismo è indispensabile, come suggerisce qualcuno, una sinistra libera da un vacuo progressismo senza però cadere nella regressività, in grado di restituire spessore e profondità al tempo che viviamo:”Una sinistra che concilii l’io e il noi, che non si affidi semplicemente all’individualismo radicale e alla rivendicazione compulsiva dei diritti. Una sinistra libertaria ma non liberale, che non sposi il primato assoluto del mercato e dell’economia, ma sappia creare e reinventare lo spazio della politica e della socialità, favorendo anche altri ambiti in cui, al posto delle merci, ci siano in primo luogo gli uomini e la natura… Una sinistra libera dal demone contemporaneo della ‘facilità’, che sappia pensare la complessità e rinunciare alla reductio ad unum delle differenze. Una sinistra in grado di capire che liberare la società da pastoie burocratiche, posizioni dominanti e oligopoli, restituendole trasparenza e vivibilità democratica, non è ‘mestiere’ dei liberali, perché è proprio il liberalismo che, alla fin fine, per risolvere il problema di coloro che lascia inevitabilmente indietro, produce paradossalmente più Stato, più lobby e più gruppi di interesse. Una sinistra senza più propositi palingenetici, ma in possesso di una forte carica simbolica” (Bruno Arpaia, Per una sinistra reazionaria, pp. 172-73).  Raccolgo la provocazione, nel testo appena citato, per affermare che non si tratta tanto di una questione ‘nominalistica’, puramente definitoria, quanto  dei contenuti che una sinistra moderna deve necessariamente porsi a partire dalla difesa del proprio patrimonio e della propria tradizione-identità (il sapere umanistico),

non a caso devastata dalla presunta Riforma-Gelmini e che si auspica il Governo Monti possa ampiamente rivedere. 

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