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La crisi della verticalità della politica e il trionfo della orizzontalità della società civile

di Elio Matassi

Dopo il dirompente risultato delle recenti elezioni amministrative, anche l’ampio conseguimento del quorum nei referendum (non avveniva da 16 anni) con il trionfo dei si, dimostra in maniera inequivoca quale sia la direzione prospettica del nuovo trend politico – culturale.

E’ finito un paradigma che considerava la dimensione politica in maniera unilateralmente verticale, una politica su cui cadevano dall’alto le decisioni di una leadership presuntamente carismatica, decisioni che non potevano non essere accettate. 

Gli ultimi due risultati elettorali (amministrative e referendum) verificano ampiamente quanto già acquisito con le ultime Presidenziali americane che avevano visto l’indiscussa vittoria di Obama. Un risultato che era stato conquistato con un movimento reticolare e democratico che nasceva ‘dal basso’, dalla società civile stessa che non consentiva più ad alcuno di dominarla ‘dall’alto’ con l’ausilio della spettatorialità televisiva.

Nelle elezioni Presidenziali americane come in quelle recenti avvenute nel nostro paese vi è dunque un ritorno alla militanza diretta ed esplicita di ampli strati della società civile che non sono pregiudizialmente configgenti con i partiti – istituzioni ma che li aiutano a scegliere e a rinnovarsi. Questo movimento reticolare trova nello strumento elettronico il suo sbocco naturale, implicando una accentuata partecipazione senza la quale la ormai esangue democrazia rappresentativa non potrebbe più svilupparsi e continuare a vivere. 

Il ritorno alla democrazia partecipativa e la dialettica costruttiva fra quest’ultima e la dimensione rappresentativa della democrazia costituiscono la svolta epocale della più immediata contemporaneità. Una sfida che deve essere raccolta ed interpretata nella misura dovuta in modo particolare dal Partito Democratico che è nato per alimentare questa dialettica con l’istituzione delle Primarie. 

Siamo ad una svolta che è largamente consonante con quanto sta avvenendo a livello internazionale nel vicino Mediteranneo, in altre parti dell’Europa e che era stata anticipata dalle Presidenziali americane. 

Questa svolta non può non porre dinnanzi all’acuirsi della crisi economica, anche in questo caso, con riflessi internazionali, il problema di un nuovo modello di sviluppo, sollecitato anche dal definitivo tramonto di ogni illusione energetica di tipologia atomica.

Sulla natura di tale modello di sviluppo non può non incidere anche il contributo delle religioni, un tema che la nostra rivista sin dal suo atto di nascita ha sempre portato avanti con coerenza. A questo proposito è interessante il recente libro di Vannino Chiti, ‘Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo’, Firenze, Giunti Editore, 2011. 

 

Del resto la stessa espressione ‘Schibboleth, in cui si riconosce il nostro gruppo di ricerca, è sicuramente molto di più di una semplice suggestione letterario-filosofica. L’origine-costellazione semantico-concettuale si può ritrovare nella silloge dedicata da Jacques Derrida al grande poeta di lingua tedesca Paul Celan, Schibboleth-pour Paul Celan, in cui viene ad indicare in primo luogo il valore della con-divisione, un valore che esprime contestualmente “la differenza, la linea di demarcazione o lo spartiacque, la scissione, la cesura, quanto, d’altra parte, la partecipazione…”. Si tratta di un paradigma prezioso per il legame indissolubile istituito tra differenza, linea di demarcazione e partecipazione/con-divisione e può essere utilizzato utilmente per una riformulazione del concetto di laicità che sia in grado, senza avventurarsi in semplificatori ed impraticabili eclettismi, di rinnovare categorie e linguaggio del  Partito Democratico.

 

Rinnovamento che non potrà prescindere da questa struttura aperta di con-divisione e partecipazione; lo spazio politico riempito da tale con-divisione non dovrà mai essere alternativo alla realizzazione dell’individuo quanto piuttosto il luogo del confronto e del riconoscimento reciproco. 

 

   Ovviamente per una revisione-approfondimento del concetto di laicità non possono essere ignorati i problemi emersi nell’ultima parte del secolo XX, la sfida della globalizzazione e delle società multiculturali. Sono in proposito interessanti le risposte fornite in primo luogo da Habermas.

 

Per il filosofo tedesco la società contemporanea è una società “postsecolare”, ossia una società che “deve prevedere il persistere di comunità religiose entro un orizzonte sempre più secolarizzato”. 

 

Una società compiutamente secolarizzata nella quale, tuttavia sia venuta meno la collisione fra una forma mentis laico-militante (laicista) e la forma mentis religiosa. L’auspicio conclusivo di Habermas, che si può largamente condividere è, dunque, quello della formazione di una “sfera pubblica polifonica” (l’aggettivazione musicale risulta in proposito molto pregnante), in cui le ragioni religiose e quelle secolari possano coesistere ascoltandosi reciprocamente. Una sfera pubblica, concepita come inclusiva e non esclusiva, che ponga fine all’ingiustizia di richiedere dallo Stato liberaldemocratico ai suoi cittadini credenti una suddivisione d’identità (in una parte pubblica ed in una privata). Un’interpretazione critica del paradigma francese di laicità, di cui rappresenta una versione alternativa importante, quando recita che “la generalizzazione politica di una concezione del mondo di tipo secolare non è compatibile con la neutralità ideologica del potere statale, che garantisce eguali libertà etiche per tutti i cittadini”. Ho scelto intenzionalmente Habermas e la sua proposta di una rifondata ed allargata nozione di laicità in quanto credo fermamente nella funzione di una rinnovata ‘teoria critica’ che sappia leggere nel profondo e filtrare criticamente l’idea di ibridazione che ha governato il destino della modernità occidentale. 

 

Le argomentazioni critiche di Vannino Chiti vanno esattamente nella stessa direzione di ricerca e devono essere attentamente meditate anche per quello che concerne il contributo che può offrire la dottrina sociale della Chiesa. Inoltre vanno tenute nella debita considerazione anche le argomentazioni di Abdelwahab Meddeb in ‘Religione e politica’, che mira ad approfondire il contributo della religione islamica.

 

Nelle società sempre più dominate dalla globalizzazione, un antidoto efficace contro il primato dell’ideologia economica può essere prospettato solo dalle religioni senza pregiudiziali e da un costruttivo dialogo interreligioso.

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