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La celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la guerra libica 

e il PD

di Elio Matassi

Nei primi mesi del 2011 l’accelerazione della crisi politica italiana, divenuta ormai crisi sistemica, è stata parallela alle celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia. In questo contesto ha assunto sempre più popolarità e un riconoscimento condiviso la figura del Presidente della Repubblica, quale momento esemplarmente simbolico dell’Unità celebrata.

La fronda leghista, la passività dimostrata dal blocco neopopulista oggi al potere hanno dimostrato in maniera inequivoca fino a quale punto venga minacciata l’unità raggiunta nel passato. La stessa scelta federalista con tutte le sue ambiguità sta a dimostrare quanto sia fragile l’equilibrio raggiunto e quanto sia vulnerabile di fronte alle aggressioni crescenti che vengono mosse dal seno stesso della maggioranza governativa. 

Anche la situazione internazionale è in movimento su tutti i piani; la crisi libica con la conseguente scelta dell’ONU di proteggere gli insorti anti-Geddafi, che ha provocato crepe consistenti nella maggioranza governativa, ha di fatto rafforzato il ruolo di tutte le opposizioni parlamentari che hanno fatto una scelta molto trasparente a favore degli irrinunciabili diritti umani.

Le recentissime elezioni regionali nella Repubblica federale tedesca hanno premiato i Verdi e un’idea di sinistra rinnovata ma altrettanto perentoria nella sua identità, lo stesso è avvenuto nella elezioni cantonali francesi. Interessanti sviluppi sta assumendo anche la nuova leadership, del Partito labourista inglese, con il ripudio radicale di ogni prospettiva di terzietà (alla Blaire), per assumere una fisionomia sempre più marcatamente di sinistra.

La catastrofe nucleare giapponese ha contribuito in maniera decisiva a un ripensamento complessivo dello sviluppo europeo (con l’eccezione della Francia) e avrà un’incidenza diretta anche sulle scelte dell’elettorato italiano, in particolare per l’appuntamento dei referendum previsti per la prima parte di giugno.

Sono tutte constatazioni di ciò che sta avvenendo a livello internazionale e nel contesto nazionale. Sembra di assistere, sul piano delle tendenze culturali di fondo , a un ritorno dell’etica e della politica, della ‘grande politica’.

Dopo che nella filosofia vi era stata, per così dire, una svolta antitetica – nel postkantismo l’etica sembrava essere diventata sempre più una disciplina specialistica, accademica, tra le poche figura del Novecento che avevano toccato questo tema vi erano quelle di Bergson con Le due fonti della morale e della religione, e di Max Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori –, gli autori più rilevanti del Novecento, tra cui Husserl, Heidegger, Whitehead non si erano interessati direttamente ed esplicitamente di questo tema.

Da alcuni decenni il trend culturale sembra essersi capovolto, si assiste a un ritorno sempre più frequente dell’etica, anche se in taluni casi, tale rinascenza assume tratti regressivo-parodistici, basti ricordare il caso recentissimo, nel nostro panorama nazionale, del movimento dei cosiddetti, ‘responsabili’, che sono diventati il terzo punto di riferimento dell’attuale maggioranza governativa.

Il ritorno dell’etica nella scena storica contemporanea è stato, in molti casi, parallelo all’esplosione dell’antipolitica, che per la sua genesi, ha avuto molte ragioni: il discredito della politica è stato profondamente influenzato dalla crisi progressiva della rappresentanza, imposta dall’alto da oligarchie percepite sempre più come estranee alla società civile. 

Una tale spiegazione può essere utile per chiarire gli aspetti salienti della politologia contemporanea e, per esempio, di una personalità complessa come quella di Cornelis Castoriadis, “Abbiamo bisogno di un’etica dell’autonomia che non può che essere intrecciata con una politica dell’autonomia. L’autonomia non è la libertà cartesiana, ancor meno quella sartriana, folgorazione senza spessore e senza affetto. L’autonomia a livello individuale è la nuova fondazione di un rapporto tra se stesi e il proprio inconscio, non si tratta di eliminare quest’ultimo ma di riuscire a filtrare quanto dei desideri passa nei nostri atti e nelle nostre parola”.

Il ritorno della grande politica nello scenario contemporaneo non può che essere contrassegnato da un’autonomia individuale, concepita in maniera radicale, e, dunque, privata e liberata dalle soggezioni fuorvianti della rappresentanza, e vincolata, invece, a una partecipazione effettiva, una partecipazione che dovrà essere l’esatto controaltare di una vita pubblica, divenuta, come recita uno dei nostri politologi più avvertiti, Carlo Galli, , “una scena in cui si recita a soggetto un dramma populistico (con una regia routinaria o carismatica, secondo le circostanze) in cui il cittadino è apparentemente attore e protagonista , e non spettatore, mentre in realtà è una marionetta mossa dai fili invisibili dei poteri opachi (in primo luogo economici, ma non solo) che hanno organizzato quella che Baudrillard definì La società dei simulacri. La dialettica fra astratto e concreto, fra teatro e politica – che fa sì che la politica sia lo spazio in cui la durezza degli interessi , delle crisi, delle catastrofi, tende a presentarsi come narrazione (mito) e come azione (dramma), cioè come forma – diventa aperta menzogna”.

Il Partito Democratico dovrà far tesoro di tali riflessioni, del nuovo dinamismo dello scenario internazionale che sta riproponendo l’idea di ‘sinistra’ in tutte le sue implicazioni e per tutte le soluzioni. Un’idea di ‘sinistra che nel panorama nazionale dovrà contemplare un forte respiro unitario, patriottico-risorgimentale, come ricorda saggiamente in tutte le circostanze il nostro Presidente della Repubblica, che sta saldando con la sua figura il momento patriottico-unitario e quello etico, da cui la sempre più crescente popolarità quale antidoto ai veleni del blocco populista’.

Il Partito Democratico dovrà riuscire a avere contestualmente questo sguardo patriottico-nazionale,oggi sottoposto a più di un rischio, e una vocazione spiccatamente europea; non può esservi contraddizione alcuna tra queste due prospettive, che ricordano non casualmente uno dei nostri periodi più fecondi, il Risorgimento, pur con tutte le ombre che nessuno si sognerebbe di occultare o di negare. 

Il ritorno allo spirito unitario del Risorgimento da contestualizzare in un’ottica europea è la via obbligata, l’unico percorso credibile che il Partito Democratico potrà darsi. Un percorso su cui dovrà essere commisurata anche la strategia delle alleanze.

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