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Democrazia, 

etica e difesa

della Costituzione

di Elio Matassi

La minaccia estrema che nella contemporaneità ipoteca la politica, limitandone potenzialità e sviluppi, sta nella crescita esponenziale di quella che può essere definita, con un neologismo non molto elegante, ‘espertocrazia’. In una società la cui complessità interna aumenta costantemente e lo Stato, parallelamente e specularmente, si frantuma in una molteplicità di istanze politico-amministrative che operano a più livelli, il ruolo dei tecnocrati cresce inesorabilmente. I politici, per parte loro, si trincerano dietro i pareri degli esperti, in modo che, alla fine, nessuno risulta responsabile né tantomeno colpevole di nulla.

           Andando ancora più a fondo, la depoliticizzazione nasce in questo caso dall’idea che per ogni problema politico o sociale vi sia alla fine un’unica soluzione tecnica possibile che spetta agli ‘esperti’ trovare. La conseguenza sta in un esercizio sempre più razionalizzato e burocratico del potere e i politici dimenticano che sta a loro decidere le finalità dell’azione pubblica; questo atteggiamento presume che la democrazia sia una cosa troppo fragile per essere affidata al popolo e che, per restare “governabile”, essa debba essere il più possibile sottratta alla partecipazione e alla deliberazione pubblica. 

Così come l’ideologia economicistica tende a mettere sullo stesso piano il governo degli uomini e l’amministrazione delle cose, nella stessa misura l’‘espertocrazia’ realizza la politica in quanto attività fittizia che scaturisce dalla sola autorità della ragione. L’ideologia economicistica  è l’erede di quei teorici che credevano, sul modello delle scienze esatte, di poter trasformare l’azione politica in una scienza applicata fondata sulle norme della fisica o della mathesis. L’obiettivo è quello, sopprimendo la pluralità delle scelte, di eliminare l’indeterminatezza ed anche il conflitto, per definizione fonte di incertezza. La speranza, certamente sempre frustrata, sta nel far coincidere razionale e reale lavorando per un futuro ‘scientificamente’ prevedibile. Ricondurre la politica ad un’attività di valutazione tecnica porta, dunque, a privare il cittadino delle sue prerogative, riducendo il gioco politico all’esercizio di una razionalità universale. Aristotele, quando richiama la nozione di saggezza pratica, mostra bene la differenza che esiste tra razionale e ragionevole, mettendo in discussione con forza l’idea che la politica possa mai coincidere con una scienza; il pensatore greco mette in guardia contro la congettura che si possa applicare allo stesso grado di rigore e di precisione delle scienze matematiche anche l’ordine delle cose umane, variabili e soggette alla scelta. La conclusione che se ne può desumere è che gli esperti possano avere un ruolo che non sia subordinato. La competenza politica non dipende dalla perizia tecnica, perché non è agli esperti che compete determinare le finalità dell’azione pubblica. Il popolo associato, nella sua diversità, riunisce competenze di cui nessun individuo può disporre separatamente. Il cittadino non ha bisogno di essere un esperto per partecipare alla deliberazione ed esprimere le sue preferenze o le sue scelte. In ultima analisi si può plausibilmente affermare che lo sviluppo tecnologico, nell’arco di alcuni decenni, ha trasformato la vita delle società più in profondità di quanto non abbia mai fatto  qualsiasi governo. E’ proprio in questo senso che possiamo affermare, con Massimo Cacciari, che “l’imposizione dell’immanenza tecnica significa depoliticizzazione globale”. ‘Governo degli esperti’, così come ‘governo dei giudici’ o ‘governo dei mercati finanziari’, sono solo formule che sottolineano come lo spazio del politico sembri oggi essersi ristretto. La questio sta nel comprendere come questo spazio sappia o possa ritrovare le sue prerogative ed, in modo particolare, essere rimodellato.

L’attuale scenario nazionale e internazionale, ipotecato in maniera pregnantemente negativa dalla espertocrazia, in particolare da quella declinata economicamente, appare preoccupante; per quanto concerne la situazione politica nostrana si assiste giorno dopo giorno ad un degrado progressivo del dibattito democratico, ad uno scontro istituzionale senza precedenti (tra la Presidenza del Consiglio e quella della Camera, tra il Governo e la magistratura), ad una concezione – interpretazione della legalità che dovrebbe essere subordinata alla deriva plebiscitario – populistica della democrazia.

L’attuale blocco neopopulista alla guida del paese sembra essersi arroccato nella difesa di una maggioranza molto fragile che si regge sul gruppo dei cosiddetti ‘responsabili’, presumendo di risolvere i gravi problemi del paese con espedienti parlamentari, mutuati da esperienze politiche del passato. 

L’espertocrazia economico – finanziaria è anche all’origine delle gravi tensioni internazionali che si stanno verificando, in particolare per le vicende che colpiscono alcuni paesi dell’area mediterranea, veramente inquietanti. Regimi nazionalistici che hanno ormai perduto ogni rapporto diretto con la società civile, utilizzano a propria difesa l’esercito. 

Vi è un allarmante processo di ripudio del confronto democratico cui corrisponde come conseguenza necessaria l’uso della violenza.

La conseguenza estrema della espertocrazia economico – finanziaria sta pertanto nell’abbandono della democrazia o, almeno, di un utilizzo solo parziale della democrazia, ossia di una democrazia dimidiata e non integrale. 

Se si torna all’esperienza nazionale e si riflette in maniera approfondita sulla vicenda Fiat – Marchionne, anche in questo caso l’unico automatismo di rilievo che le elites tecnocratico – finanziarie escogitano consiste nella riduzione dei diritti individuali, sociali e sindacali. 

La crisi, che non può essere considerata un evento metafisico calato dall’alto sui popoli, è stata determinata in larga misura, come dimostrano gli economisti più lungimiranti, da un processo capitalistico incontrollato che presenta analogie rilevanti con lo stesso processo del secolo precedente.

Un processo che presenta come autonomismo necessitante la riduzione progressiva dei diritti fondamentali; caratteristica che investe, per esempio, anche l’esperienza cinese, completamente scissa tra sviluppo economico incontrollato e caduta verticale dei diritti civili e sociali (in particolare degli abitanti delle zone interne e non di quelle costiere, il cui sviluppo e benessere economico comincia ad essere avvertito).

Passiamo ora alle soluzioni possibili, ad una linea alternativa a quella prospettata dalla espertocrazia; per quanto concerne il nostro piano nazionale appare molto interessante la proposta avanzata da Massimo D’Alema: si richiedono elezioni anticipate, con l’ausilio delle prerogative, senza forzature istituzionali, della Presidenza della Repubblica per realizzare una sorta di grande ‘compromesso’ tra le forze del ‘terzo polo’ e quelle della sinistra sia riformista sia radicale per riscrivere le regole nel rispetto della costituzione vigente.

‘Compromesso’ necessario, per un periodo circostanziato, atto a realizzare il ripudio dell’esperienza di governo ‘ormai quasi ventennale’ del blocco neopopulista.

Un ‘compromesso’, nato dall’emergenza democratica, il cui sbocco dovrebbe essere rappresentato da un confronto, finalmente solo politico, tra i due blocchi che si richiamano al centro - destra e al centro - sinistra.

Un Governo di emergenza democratica, che dovrebbe nascere simbolicamente nell’anno delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, per salvare l’unità nazionale, ristabilendo l’etica e la democrazia e la difesa della Costituzione contro ogni tentazione plebiscitaria.

Un’esperienza che dovrebbe essere trasferita sul piano europeo, nei Governi dell’Unione per dirimere e accompagnare possibilmente verso uno sbocco democratico i gravi problemi che stanno affliggendo alcuni paesi dell’area mediterranea, vittime di una classe dirigente del tutto insipiente. 

Ancora una volta il Partito Democratico, entro un’ottica al contempo risorgimentale ed europea, dovrà presentarsi come il protagonista per la rinascita democratica dell’Italia e del Mediterraneo. 

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