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Politica e Valori

 

 

 

di Umberto Curi

 

 

 

 

 

Un  paio d’anni fa, durante il governo del centrodestra, l’Associazione “Libertà e Giustizia” aveva commissionato ad un istituto demoscopico un sondaggio, tendente a conoscere quali fossero, secondo gli intervistati, i valori ritenuti più importanti. I risultati di questa rilevazione, compiuta su un campione sufficientemente rappresentativo (oltre 700 soggetti), sono molto istruttivi. Al primo posto, con una percentuale altissima (93,3%), troviamo la cultura e l’istruzione, al secondo (89,7%) la libertà, al terzo, staccato di pochissimo (89,3%), la giustizia, al quarto (86,1%) la moralità pubblica, e poi via via gli altri, dalla pace (84,5%) fino agli ultimi, la libertà d’impresa (20,1%) e la patria (13,4%). Questi dati, sebbene largamente indicativi, consentono di fare una prima osservazione, il cui significato converrà poi ulteriormente approfondire. Sul piano dei valori “riconosciuti”, e sulla loro gerarchia, si registra una vastissima convergenza fra i componenti del campione analizzato, visto che la quasi totalità degli intervistati pone ai primi posti alcuni valori ampiamente condivisi. Ciò significa che le scelte politiche concrete, in particolare l’opzione per il centrodestra o il centrosinistra, non scaturiscono da motivazioni attinenti alla sfera dei valori, ma da ragioni di ordine diverso, sicché individui che concordino nel considerare fondamentali la cultura, la libertà, la giustizia e la moralità pubblica, divergono poi nettamente all’atto del voto, dividendosi fra chi si esprime per la Casa delle libertà e chi per l’Unione. Un corollario fondamentale a questa prima osservazione può essere indicato nel fatto che i valori in quanto tali, non costituendo un discrimine fra destra e sinistra, non possono neppure essere invocati quale specifico principio di individuazione di una forza politica. In altri termini, nessun partito può pretendere di essere riconoscibile come espressione di valori quali la giustizia sociale o la libertà, perché essi sono rivendicati allo stesso modo da ogni altra formazione politica. Ma il sondaggio a cui ci siamo riferiti consente una seconda e forse ancora più importante osservazione. All’ultimissimo posto, nella “graduatoria” dei valori, con una percentuale pressochè irrilevante (appena il 2%) troviamo “il denaro, la ricchezza”. In pratica, sostanzialmente tutti i cittadini italiani valutano (chè questa – è bene non dimenticarlo – è poi la radice di valore) incomparabilmente più importante la cultura e la giustizia, rispetto alla ricchezza. Di fronte a quest’ultimo dato, il pensiero corre irresistibilmente allo scenario del tanto decantato Nordest, a questo territorio indicato come la zona più prospera e produttiva dell’intera Europa occidentale, a quest’area del paese caratterizzata da un tessuto estremamente articolato di imprese piccole o piccolissime, ad alto tasso di innovazione tecnologica, basso costo di manodopera e profitti in costante aumento. Ebbene, se dovessimo prendere acriticamente i risultati del sondaggio, dovremmo ritenere che anche per i cittadini di questa zona, anche per quello che è stato definito “il popolo delle partite Iva”, il denaro e la ricchezza non valgononulla, in confronto alla libertà o alla moralità pubblica. In realtà, questo dato, per molti aspetti sorprendente, serve a confermare per altra via la prima osservazione fatta, nel senso che indica che sussiste una netta divaricazione – ai limiti della contrapposizione – fra i valori dichiarati e quelli concretamente praticati, o più esattamente fra ciò che si afferma sul piano delle idealità astratte e l’ambito dei propri interessi materiali. In altre parole, il riconoscimento puramente formale della superiorità  di taluni valori non riflette la gerarchia delle cose considerate concretamente importanti, nel senso che è del tutto normale che chi dichiari di valutare al minimo il denaro, poi agisca ponendo al primo posto fra gli obbiettivi della sua attività l’incremento del propria ricchezza. Anche per questa via, si raggiunge insomma una prima e fondamentale conclusione, per quanto riguarda la questione generale dei valori: se la politica deve costantemente riferirsi a ciò che rientra fra gli interessi effettivi degli individui, se essa deve trarre alimento dalle istanze e dai bisogni della società, non può pretendere di orientare le proprie decisioni sulla base di opzioni di valore. Pensarla diversamente è soltanto una pia illusione. Per giungere al nocciolo della questione: se il nascente Partito Democratico ritiene di potersi caratterizzare sulla base di una “tavola di valori”, per quanto nobili ed edificanti essi siano, anziché sulla base di un ben definito programma politico, esso corre il rischio di partire col piede sbagliato, perdendo fin dall’inizio il contatto con i cittadini. Da un lato, perché l’indicazione di alcune idealità generali non ha la benchè minima capacità di reale differenziazione, rispetto ad altre formazioni politiche, tutte più o meno inclini a segnalare analoghe “liste” di valori. E dall’altro, perché un elettore non stabilisce le sue preferenze sulla base dei valori astrattamente declamati da questo o quel partito, ma piuttosto in rapporto alla coincidenza o alla divergenza rispetto alle proprie esigenze concrete, all’ambito degli interessi materiali.

Attraverso un percorso per così dire “induttivo”, abbiamo così raggiunto la conclusione a cui si è pervenuti al termine della vicenda storica, politica e culturale del Novecento, caratterizzata in maniera abbastanza omogenea dal riconoscimento dell’impossibilità di porre i valori in quanto tali a fondamento dell’identità e dell’iniziativa di una forza politica. Non si tratta della generica e infine evanescente “crisi dei valori”, della quale troppo, e troppo a sproposito, si discute. Ancor meno si ha qui a che fare col tanto vituperato relativismo. Si tratta piuttosto di un processo ben determinato, che ha condotto al riconoscimento della inevitabile relatività dei valori, del fatto cioè che essi non possono pretendere alcuna assolutezza, poiché sono relativi alle condizioni storiche e agli interessi costituiti dei gruppi sociali e degli individui che sono i soggetti della valutazione.Alla linea teorica che da Nietzsche e, in senso diverso, Weber conduce fino agli esiti della filosofia politica contemporanea, fa altresì riscontro la tragedia dei sistemi politici dispotici, nei quali il riferimento ai valori è stato costantemente utilizzato come strumento di amalgama sociale e come formidabile incentivo alla mobilitazione delle masse. Insomma, sia dal punto di vista teorico, che dal punto di vista storico-politico, l’eredità del Novecento segnala la necessità di tenere ben distinti valori e politica, in particolare di non dedurre questa da quelli. Di tutto ciò, nell’atto di nascita del Partito Democratico, occorrerebbe mostrarsi avvertiti, senza inseguire irrealizzabili inversioni di rotta, senza illudersi di poter conferire una identità al nuovo partito sulla base di una astratta tavola di idealità.

Tutto ciò assodato, è tuttavia possibile individuare, se non un valore, un punto di riferimento che potrebbe davvero funzionare come principio di individuazione della nuova formazione politica. E’ singolare come non si sia finora osservato che il battesimo del PD avviene in una fase storica che segna il maggior discredito della politica, almeno dal secondo dopoguerra in poi. Mai come al giorno d’oggi la politica è stata svalutata, e i politici sono coinvolti in un pressochè universale giudizio negativo. Mai come oggi si stanno profondamente radicando le tendenze all’antipolitica, al sopravvento di una visione esclusivamente “tecnica” della politica. La visione dominante – al cui consolidamento ha consapevolmente lavorato Berlusconi – è quella della politica come luogo degli sprechi e della corruzione, dell’inettitudine e dall’incapacità di decidere. Ad essa, si contrappone la vitalità e l’incisività di una società civile, la quale ha soltanto bisogno di essere “lasciata in pace”, non imbrigliata dalla politica, per esprimere tutta la sua intrinseca forza propulsiva, tutta la sua capacità di progresso. Ad essere totalmente sacrificati, nella prospettiva ora delineata, sono i semplici cittadini, coloro che non si riferiscono ai poteri forti, i ceti sociali meno abbienti e meno protetti, per i quali la politica è l’unico strumento di difesa dei loro interessi e di affermazione dei loro diritti. Anziché convocare sterilmente, e in maniera puramente retorica, astratte liste di valori, il PD dovrebbe caratterizzarsi come la forza che punta a restituire dignità e effettualità alla politica, che si impegna per tenere aperto uno spazio pubblico e disciplinato di conflittualità, nel quale democraticamente possano competere esigenze e interessi diversi. Il vero valutato a cui il PD dovrebbe rivolgersi, e per il quale dovrebbe sviluppare il massimo impegno, è il rilancio della politica, di una grande politica, capace di misurarsi concretamente con le sfide di questo inizio di millennio, resistendo alle tendenze alla cancellazione della politica in favore della capacità di autoregolazione della società civile. Il valore di una politica che sia riportata ad essere platonicamente “arte regia”, e che dunque possa offrire un terreno sul quale possano emergere a trasparenza i processi decisionali che riguardano la collettività. Il PD come forza essenziale di risanamento di tutto il sistema politico. Senza inseguire chimere, senza nostalgie di valori, la cui validità non può che riguardare l’ambito soggettivo delle scelte morali.

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