top of page

Sul fondamento

del diritto

di Andrea Poma

Durante l’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo nella Basilica di S. Pietro, il Papa Benedetto XVI ha affermato tra l’altro: “Anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace. Anche oggi è importante per i cristiani non accettare un'ingiustizia che viene elevata a diritto - per esempio, quando si tratta dell'uccisione di bambini innocenti non ancora nati” (http://www.oecumene.radiovaticana.org/IT1/Articolo.asp?c=368993).

Mi sembra un’affermazione molto interessante, per il nodo di problemi, intricato ma ricco, che comporta. In una società della comunicazione in cui raramente la superficiale guerra di slogan lascia il campo alla riflessione ragionata sui problemi, questa affermazione sembra l’eco di diatribe medievali tra Chiesa e Impero. In realtà essa solleva una questione di grande importanza, non solo nei secoli passati, ma anche e più che mai oggi.

Le leggi sono deliberate e promulgate dallo Stato e come tali devono essere osservate incondizionatamente. Per questo il Papa ricorda che “anche oggi è importante per i cristiani seguire il diritto, che è il fondamento della pace”. D’altra parte, come somma autorità e supremo garante del magistero ecclesiale, egli aggiunge: “anche oggi è importante per i cristiani non accettare un'ingiustizia che viene elevata a diritto”.

E’ ovvio che il Papa ha una solida giustificazione ideologica per questa sua seconda affermazione: le leggi degli uomini hanno fondamento e giustificazione nelle leggi divine; quindi le leggi dello Stato, degli Stati, sono legittime solo se e in quanto non contraddicono le leggi divine, anzi vi si ispirano.

Tuttavia questo impianto ideologico non è privo di motivi problematici. Il riconoscimento della sovranità dello Stato nel legiferare e dell’obbligo dei cittadini ad osservare le leggi e, con ciò, a riconoscere la sovranità dello Stato non possono essere messi in discussione senza che le stesse idee di stato di diritto e di società civile vengano sgretolate dalle fondamenta. Ma il riconoscimento di un’istanza superiore, anzi suprema, che renda possibile, da parte della società, la critica delle leggi positive e la disobbedienza civile in casi estremi, sembra necessario, pena l’inaccettabile sudditanza della società a regimi dispotici e tirannici. Infatti, se la critica e il ripudio di leggi “ingiuste” non fosse mai legittimo, la resistenza alle tirannie, come il fascismo o il nazionalsocialismo, non sarebbe mai giustificata né giuridicamente né moralmente. Ma, ripeto, la strana e per certi versi paradossale figura della “legge ingiusta” implica la necessità di riconoscere un’istituzione e un’autorità più alta della legge, a cui fare riferimento e da cui trarre legittimazione.

Non può essere considerata tale la presunta autorità suprema della “coscienza”. Il concetto borghese di “coscienza” non è alla fine niente altro che la traduzione ideologica dell’istanza dell’interesse individuale o corporativo, che rivela l’anarchismo sempre presente sotto traccia nella democrazia borghese, minimalista e negativa. Anche la Chiesa Romana fa spesso appello al concetto di “coscienza”, ma dà a questo un significato del tutto diverso, poiché nella tradizione cristiana la “coscienza” è la voce di Dio in noi. Quindi, in ultima istanza, anche su questo tema l’appello della Chiesa alla coscienza è un appello alla suprema autorità della legge di Dio.

Non si creda che in una prospettiva non religiosa, e nemmeno in una prospettiva laicista, questo problema non esista. Infatti in questo caso non si farà evidentemente appello alla legge divina, ma il problema della possibilità di ricorrere a  un’istanza superiore alla legge positiva dello Stato e in qualche modo assoluta (la libertà, la giustizia, i diritti umani, ecc.) resta reale, se non si vuole ammettere il dovere incondizionato di sottomettersi acriticamente alle leggi positive dello Stato.

Inoltre mi sembra che qualunque riferimento a un’istanza superiore alla legge sia inevitabilmente una forma di fondamentalismo ideologico. I termini del problema non cambiano se la fonte suprema di autorità è la legge divina secondo il magistero ecclesiastico, la Bibbia, il Corano o la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Il punto è che si riconosce una fonte suprema di autorità, dalla quale ogni altra legittimità dipende. D’altra parte è anche vero che la negazione di qualunque autorità superiore a quella dello Stato si configurerebbe anch’essa come una forma di fondamentalismo statuale.

Infine voglio ancora suggerire un altro ordine di problemi. Il principio della legge divina come fondamento necessario della legge positiva sembrerebbe implicare l’impossibilità di un diritto e, più in generale di un’etica fondata autonomamente e indipendentemente da opzioni religiose. Naturalmente si potrebbe rispondere che l’esplicita opzione religiosa non è necessaria, poiché la legge divina è inscritta nel cuore di ogni uomo. Questo importante principio, tuttavia, mi sembra ancora declinabile in modi differenti, che riporto qui agli estremi: da una parte, se essa è inscritta nel cuore di ogni uomo, allora qualunque prospettiva umana la esprime; d’altra parte, se non ogni prospettiva umana la esprime, ma solo quella coerente con l’insegnamento del magistero religioso, allora si deve aggiungere che, dato l’ottenebramento del cuore umano, è necessario che l’insegnamento positivo del magistero riconduca i cuori alla retta volontà (ovvero che l’insegnamento della scienza o di non so che altro li riconduca alla retta ragione), allora si torna alla posizione fondamentalista.

Termino qui questa breve riflessione su un’affermazione del Pontefice e, con lui, del magistero cattolico, che ancora una volta si dimostra una delle poche istituzioni che quando parlano propongono riflessioni importanti per tutti. Questa conclusione è evidentemente carente di una soluzione ai problemi sollevati. Da una parte, infatti, non la posseggo e quindi non la posso proporre; d’altra parte, mi sembra che sarebbe utile se, nei tristi tempi attuali dei beceri conflitti televisivi e non tra soluzioni senza riflessioni, si cominciasse a contribuire, ognuno per la sua parte, a riflessioni che si astengano da frettolose conclusioni.

bottom of page