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Per una sinistra cosmopolita

di Elio Matassi

Nella più immediata contemporaneità, il cosmopolitismo kantiano non può non essere riletto anche sulla base dell’affermarsi ormai irreversibile della “mediasfera”. 

Sul cosmopolitismo vale, in ultima analisi, la stessa obiezione che Hans Jonas avanza intorno all’imperativo categorico kantiano: non si può pensare che sia un modello concettuale astratto, ossia a-temporale e a-storico, quanto piuttosto un paradigma che deve essere contestualizzato con lo sviluppo che nel frattempo il processo storico ha raggiunto.

La svolta informatica ha ormai raggiunto, in modo particolare per le più giovani generazioni, una diffusione pervasiva, determinando una vera e propria “rivoluzione” cognitiva che non può non avere riflessi decisivi sull’etica e sulla politologia. 

Per approfondire il senso di questa rivoluzione scelgo, come metodo, quello del “saggismo” del primo Novecento, ossia parto dall’arte per arrivare alla realtà. L’arte considerata come lente di ingrandimento dei problemi interni alla realtà e, più in particolare, alla nostra epoca. 

A questo fine, utilizzo alcuni romanzi contemporanei che possono essere piegati e declinati a grandi metafore di ciò che sta avvenendo con la svolta impressa dal digitale. 

Il primo, tradotto liberamente dal tedesco, Il quinto giorno – il titolo originario Der Schwarm (“lo sciame”) è senza alcun dubbio più incisivo – è dello scrittore contemporaneo Franz Schätzing, presentato come il thriller degli oceani, è un autentico best-seller mondiale con oltre due milioni e mezzo di copie vendute. Si tratta, senza forzatura alcuna, della più grande metafora della mediasfera e della sfida che questa comporta. Il genere umano, ormai minacciato in maniera irreversibile dalla globalizzazione e dalle élites che la esprimono, decide di rivoltarsi, assumendo come alternativa le vesti dello ‘sciame’, ossia dal pulviscolo reticolare, dal movimentismo tipico del mondo digitale, per creare una sorta di “co-produzione della cittadinanza”, che aspira a rappresentare una forma di democrazia diretta. 

Se ne possono comprendere le ragioni sostanzialmente difensive da contrapporre ai limiti evidenti della democrazia rappresentativa (come sta avvenendo in Europa) o dell’autocrazia (come in Medio Oriente e in Russia). Questa risposta difensiva non può comunque eludere una riflessione di più ampia portata sulla natura autentica della cosiddetta “democrazia digitale”, il cui rischio maggiore sta nella fragilità, nella volatilità. Non presumendo né una struttura centrale, né articolazioni corrispondenti, il pulviscolo reticolare, lo sciame, può dissolversi all’istante, proprio nelle stesse modalità con cui si è affermato. E ancora, la presunta invisibilità della leadership non è in alcun modo garanzia di democraticità; non è affatto un paradosso considerare le adunanze invisibili dei social forum come forme di democrazia dove a dominare non è il principio della discussione (come nell’agorà classica), ma quello del silenzio.

Il secondo romanzo in questione è Transmission del giovane scrittore di origine indiana Hari Kunzru, tradotto in italiano con La danza di Leela, in cui viene narrato l’incontro impossibile e romantico tra una splendida diva del cinema, Leela, e un giovane hacker, Arjun. Il grande tema del romanzo è l’identità digitale. Quale identità presume il mondo digitale? È l’identità in quanto principio della logica aristotelica, trasferito con tutti i rischi del caso in sede metafisico-filosofica e in quella politico-sociale, o l’identità assunta dal digitale, che riuscirebbe a immunizzarsi dalle tentazioni identitarie? La rivolta individualistica di Arjun Metha, in preda all’orror vacui di tornare a Delhi sconfitto e a mani vuote, quella rivolta che gli fa indossare il “cappello nero” dell’hacker per creare un virus informatico dedicato a Leela Zahir, la sua diva preferita di Bollywood, quali ambizioni nutre? 

È la rivolta di un’identità che vuole rimanere privata e non annegare nell’esclusiva dimensione pubblica? È proprio questa tipologia d’identità che lotta senza tregua contro la sua dimensione complementare (l’identità pubblica) a determinare il disastro. Il virus di Leela transita senza sforzo dal mondo virtuale dei network a quello concreto delle cose.

E infine il terzo romanzo, Monna Lisa Cyberpunk di William Gibson, il grande racconto della Babele del XXI secolo, dove a contrapporsi al super potere scientifico-tecnocratico è uno sparuto gruppo di esseri umani, in particolare una donna, la bellissima Monna Lisa, le cui lontane origini affondano probabilmente nella terra di Lucania. Un’opposizione, un’identità, depositaria di un ideale di bellezza che non potrà mai tramontare?

L’orizzonte di riferimento, aperto dai tre romanzi contemporanei, offre anche il programma più generale che una sinistra democratica, autenticamente cosmopolita, dovrà porsi. 

Il confronto con il “pensiero della rete” e della conseguente rivoluzione culturale. 

La problematizzazione del concetto di identità che la mediasfera drammatizza nel campo di tensione che si istituisce tra privato e pubblico.

La difesa del grande patrimonio culturale della nostra tradizione che rischia di essere marginalizzato.

Sono queste tre le riflessioni ineludibili sulla cui base è possibile – per  l’Europa e, più in particolare per l’Italia – costruire un futuro nel segno della democrazia e del cosmopolitismo. 

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