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L’implosione del PdL,

le elezioni anticipate

e la strategia del Pd

 

di Elio Matassi

La crisi interna al PdL, ormai latente da tempo, è emersa nell’estate in tut- ta la sua gravità, apparendo ormai dif cilmente componibile. Quello che all’inizio della legislatura appariva come un blocco monolitico, allo stato at- tuale dei rapporti, presenta un’articolazione composita: il PdL, la Lega, l’ala riconoscibile nelle posizioni del Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Dif cile individuare l’equilibrio soddisfacente per tutte le forze in campo, dif cile in maniera particolare, comporre la diversità prospettico-strategica tra l’ala rappresentata dal gruppo ‘futuro e libertà’ e quella leghista, tra una prospettiva di destra europea, democratica e nazionale, rispettosa dei valori

costituzionali, ed una, invece, sostanzialmente secessionistica e anticostitu- zionale.
Non appartengo alla schiera di coloro che ritengono, in maniera fuorviante, Gianfranco Fini fautore di uno rovesciamento di campo, di un passaggio traumatico dal centro-destra al centro-sinistra; reputo che ‘futuro e libertà’ rimanga solidamente ancorata al terreno del centro-destra, al cui interno co- esistono visioni ormai incompatibili: un centro-destra sotto l’egida del Nord (una parte consistente dell’attuale PdL e la Lega) ed un centro-destra, inve- ce totalmente rinnovato, che cerca di difendere quelle del Sud; una spacca- tura ormai irreversibile da cui non sarà più possibile prescindere e con cui fare necessariamente i conti.

Quale deve o dovrebbe essere la strategia del Pd e dell’alternativa? Di un’opposizione con un’articolazione tripartita, l’UdC, il Partito Democratico e l’Italia dei Valori? Anche in questo caso vi sono strategie molto differen- ziate. Come giudicare la prospettiva, dell’UdC, dei neocentristi? Sono molto dubbioso sul passaggio di campo di Pierferdinando Casini, che dovrebbe ad- dirittura essere scelto, nell’ambito di una crisi sistemica, di una emergenza democratica, come premier di una coalizione che segnerebbe la de nitiva rottura con tutte le posizioni della cosiddetta sinistra radicale, Di Pietro, Vendola e quello che rimane dell’estrema sinistra. Una scelta che farebbe esplodere tutte le contraddizioni interne al Pd, una scelta rischiosa se non addirittura avventurosa, che sancirebbe in maniera irreversibile l’incompati- bilità del Partito Democratico con le altre forme di opposizione di sinistra. L’accelerazione della crisi politica, nonostante la ducia ottenuta dal gover- no, impone un radicale ripensamento della strategia del Pd, scelte non più rinviabili e il ricorso, quanto più possibile vicino, alle primarie per la scelta di un premier da contrapporre al centro-destra.

La rincorsa al centro, ormai saldamente occupata dai neocentristi, non ri- schia di risultare una scelta che sancirebbe la de nitiva subalternità del Partito Democratico? Del resto il recente passaggio, prima nell’Api, poi a forme di sostegno diretto o indiretto di ben due rappresentanti del Partito Democratico in nome di un presunto nuovismo in realtà di un contenitore al contempo vuoto e astratto, sta a dimostrare come la via verso il centro incontri molteplici dif coltà.

Ovviamente sono tutte questioni che presumono leggi elettorali diverse; ma è plausibile congetturare che l’attuale Parlamento che presenta nei due rami maggioranze diverse, composite ed eterogenee, possa esprimere una nuova legge elettorale? Ritengo questa ipotesi impraticabile ed è facile previsione il ritenere che le nuove elezioni si terranno con l’attuale sistema elettorale. Si tratta di ri essioni, ovviamente molto problematiche, in un momento epocale, caratterizzato dal berlusconismo ormai al tramonto, ma che pro- prio per le sue caratteristiche potrebbe trasformarsi in esiti dif cilmente controllabili sul piano democratico.

Vengo ad un secondo piano di ri essione e in questo caso devo essere as- sai drastico anche nei riguardi dell’’opposizione, e, in particolare, anche di alcuni settori del Pd, la Riforma universitaria, approvata alla ne di luglio dal Senato, e, in agenda, elezioni permettendo, in autunno alla Camera dei Deputati. Com’è possibile tollerare che un Parlamento, nella sua totalità, legiferi contro ogni principio di equità in violazione agrante del principio di uguaglianza; mi riferisco, in particolare, al blocco degli scatti di stipen- dio che è rimasto solo per la categoria dei professori universitari (sono stati restituiti a tutte le altre categorie, dalla magistratura alla scuola secondaria, alle forze dell’ordine) e alla restrizione della carriera da 72 a 70 anni per

i professori universitari (unica categoria del pubblico impiego a cui venga applicata!). In questo secondo caso, una scelta scellerata, iniqua, raggiunta come equilibrio da contrapporre alla proposta demagogica e irresponsabile, postulata da alcuni settori del Pd, che, in nome di un presunto shock gene- razionale, proponevano di accorciare la carriera dei docenti universitari a 65 anni. Una proposta demenziale, di chi non è mai entrato in una università, in nome di un presunto liberismo, altrettanto demenziale, che si richiama al regolamento di altre nazioni europee (Francia e Germania) senza entrare veramente nel merito della questione. Negli altri stati europei la data di in- gresso nel mondo universitario è all’incirca intorno ai 30 anni, mentre nella situazione italiana, e in particolare nelle discipline umanistiche, è superiore ai 40 anni. Come poter giusti care i 65 anni con un inizio così ‘procrastina- to’? Quali limiti pensionabili potrebbero essere raggiunti all’interno di una fascia di età così circoscritta?

Sanno i nostri ‘compagni e amici’ del Pd che in Germania (tra l’altro proprio in questa fase storica si sta prendendo in considerazione l’estensione della carriera no a 70 anni) il cancelliere tedesco, fautore della legge per cui i professori universitari concludevano la loro carriera a 65 anni è Adolf Hit- ler? Il tutto in nome di un presunto ‘giovanilismo’ che non ha nulla a che vedere con la meritocrazia.

Non rivendico certo le nobili ragioni della presunta superiorità della vec- chiezza (anche se la creatività loso ca da Immanuel Kant a Hans Georg Gadamer si è andata affermando tra i 60 e i 70 anni), per esempio secondo la visione ciceroniana, per la venerazione tributata alla potenza ineluttabile e sostanzialmente benigna della natura. Come si afferma nel De senectute, bisogna seguire la natura “come la migliore delle guide : come una divinità ! “, non è possibile che questa abbia “delineato egregiamente le altre parti del dramma della vita”, tirando invece giù alla meglio l’ultimo atto “come un poeta maldestro”. Gli aspetti infelici della vecchiezza sono volutamente pas- sati sotto silenzio, e le immagini offerte, edi canti : Catone, a ottantaquattro anni, è saldo e vigoroso come una vecchia quercia ; Massinissa, a novanta, è asciutto e scattante, e non scende mai da cavallo. Cicerone, ovviamente, co- nosce bene le accuse mosse alla vecchiezza. Le passa però in rassegna da un punto di vista astratto, facendone un semplice elenco, e tutte le sue capacità retoriche e di pensiero sono rese funzionali ad una loro programmatica ne- gazione. In vecchiaia si è meno vigorosi ? Ma di questo può disperarsi solo un uomo mediocre come Menone, che un tempo in ammava le folle del circolo entrando nell’arena con un bue sulle spalle. In vecchiaia le facoltà mentali si attutiscono, la memoria si indebolisce ? Ricordo tutto -replica Ci- cerone attraverso Catone-anche se leggo “le epigra sepolcrali” . Il vecchio è ormai inadatto agli affari ? No, egli è come il pilota durante la navigazione : intorno a lui i giovani “si arrampicano sugli alberi, si affannano su e giù per le corsie, prosciugano la sentina”, a lui resta la responsabilità più gravo- sa, quella di tenere saldamente il timone . In Cicerone , la vecchiezza non è solo l’età di un’ininterrotta elasticità mentale, acuita dal cumularsi delle esperienze, né soltanto la stagione di una condizione sica suf ciente. Essa è anche – e forse soprattutto – lo strumento attraverso cui mettere in pratica un processo di disciplinamento sociale. Il Pater familias deve esercitare la sua autorità “ no all’ultimo respiro” . Condizione di una vecchiezza sana e serena è che in gioventù si sia vissuti in modo equilibrato : “una giovinezza viziosa e sfrenata consegna alla vecchiaia un corpo debilitato”. Non è casua- le se il maggior consesso politico di Roma sia un “senato”, né se in passato gli anziani vi venissero convocati da messi cursori che li raggiungevano nella

loro “casa di campagna” . A Sparta poi i detentori delle più alte cariche dello stato “sono vecchi di nome e di fatto “ . Se vi accingete allo studio della sto- ria, ammonisce Catone i suoi due giovani interlocutori, Delio e Scipione, vi accorgerete di come le nazioni più anziane siano state rovinate “da giovani”, ma restituite al loro splendore “da vecchi” .

E’ facile intravedere in queste affermazioni ciceroniane non solo l’utopia conservatrice di un passato idealizzato nelle sue forme patriarcali e tradi- zionali, ma anche il profondo disagio d’una crisi politica attuale. Cicerone, membro dell’aristocrazia senatoria, scrive il De senectute nel 44 a. C.: l’apo- geo della classe politica cui appartiene è ormai un ricordo del passato; di- nanzi ai suoi occhi si proiettano i bagliori minacciosi dell’epoca imperiale.

La prospettiva ciceroniana assume la ferma difesa della vecchiezza anche rispetto al tema della sessualità e della morte ; vi è una “terza ingiuria”, scrive ad un certo punto Cicerone, rivolgendosi alla vecchiezza ; si dice le siano negati i piaceri dei sensi”. Ma questa non è un’ingiuria-replica sollecito Catone sotto la penna di Cicerone – è il “meraviglioso regalo del tempo”, trascinando con sé “quel che la giovinezza ha di meno perfetto”. I piaceri dei sensi sono la “iattura più rovinosa” concessa dalla natura all’uomo ; da essi discendono “i tradimenti della patria, ... le rivoluzioni, le segrete inte- se con il nemico”. “Nel regno del piacere non alligna la virtù”. Ha ragione Sofocle – incalza Catone – nel dire che con l’avanzare degli anni ci si libera “di un padrone selvatico e furioso”. Finalmente, dopo aver servito “sotto le bandiere della lussuria”, lo spirito vive “raccolto in se stesso” . Anche la morte va guardata, senza drammatizzazioni, in quanto l’anima, chiusa “nella prigione del corpo”, in un luogo “contrario ad una sostanza divina”, comincia la sua vera vita – “l’unica vita degna di essere chiamata tale” – solo con la morte del corpo. E’ per questo- continua, con un’immagine indimenticabi- le- che “ho avuto la forza di sopportare con animo saldo la morte del mio glio prediletto, Catone il giovane. Mentre ardevo il suo corpo sul rogo – “e sarebbe stato più naturale che egli ardesse il mio” – sapevo che la sua anima non mi abbandonava, ma, volgendosi a guardarmi, mi dava appuntamento per il futuro.

In una visione sostanzialmente unidirezionale del processo temporale, la vecchiezza rappresenta il culmine della vita, e al pari delle altre età, ha i suoi svantaggi ma anche i suoi vantaggi, costituendo una potenza autonoma, che deve essere colta nella sua peculiarità. Una interpretazione meramente evolutiva del corso della vita, che presume, tra l’altro una visione seriale della temporalità.

Una visione antitetica a quella del ‘giovanilismo’ di maniera, ovviamente ricusabile, in ragione di una meritocrazia effettiva che, in quanto tale, non potrà mai essere esclusivamente anagra ca. Vi sono giovani meritevoli e an- ziani meritevoli, una legge che si rispetti dovrebbe garantire l’effettiva pro- duttività scienti ca di tutte le fasce di età.

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