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Crisi economica, crisi politica, 

la Rete e 

la filosofia

di Elio Matassi

Negli ultimi anni il dibattito internazionale si è concentrato su due saggi di intellettuali americani: The social animal di David Brooks e The origins of political order di Francis Fukuyama, l’autore del celebre La fine della storia più volte discusso criticamente dagli editoriali della nostra rivista. 

David Brooks nel suo saggio-romanzo (si tratta, infatti, di un saggio che usa la forma della narrazione delle storie di due personaggi) utilizza i risultati delle più recenti ricerche scientifiche per ricostruire i meccanismi centrali del  comportamento umano finalizzato alla ricerca del successo. Il filo conduttore del testo si può tradurre nella formula seguente: filosofia e teologia non possono più aiutarci, come nel passato, a dirimere le questioni contemporanee; soltanto la scienza riesce a garantire la verità anche per gli orientamenti sociali e politici.

Il filosofo americano di origine nipponica Fukuyama prende come punto di riferimento le scienze naturali e gli effetti che possono produrre sulla scala sociale e sulle strutture del sistema politico. Mentre ne La fine della storia si era concentrato sulla filosofia hegeliana nella rilettura di Kojève, in questo caso il ruolo centrale viene interpretato dalla biologia. 

Sono partito “da lontano”, da due riferimenti culturali che cercano di riflettere post factum su quel che è avvenuto con la crisi finanziaria del 2008 e con le conseguenze gravissime da essa provocate.

In Italia questa crisi, ovviamente scandita da errori sia di tattica che di strategia, ha condotto all’impasse attuale, ad un cortocircuito istituzionale. Il successo del Movimento Cinque Stelle ha capovolto la direzione dei processi reali. 

Come si può uscire da questa situazione? Dobbiamo ripudiare o accantonare la filosofia per sempre? Credo che una tale possibilità si dimostri immediatamente inadeguata. Al contrario, anche questo è un modo per fare ancora filosofia: non nella direzione che stabilisce quell’equazione strettissima tra “democrazia e filosofia”, ma in quella che aspira ad istaurare una forma di democrazia dispotica e autoritaria. 

Riconoscere questo non significa accettare in maniera incondizionata tutto il progetto e il programma del Movimento Cinque Stelle, ma solo cercare di comprendere quali siano le cause profonde che lo hanno originato. Cause che intravedo in un capovolgimento di direzione: non più ‘dal vertice’ che governare e indirizza i processi politici, ma ‘dalla base’, dai movimenti stessi che cercano di darsi una struttura interna. Finisce un’egemonia calata ‘dall’alto’, nasce un’egemonia che tenta di costituirsi direttamente a partire dai processi reali stessi, ossia ‘dal basso’.

Un capovolgimento radicale è partito dalla Rete e dalla sua dimensione partecipativa e democratica. In ragione di questo cambiamento irreversibile, la nostra rivista ha messo al centro delle riflessioni le potenzialità della ‘mediasfera’. Siamo entrati in una nuova fase: la “democrazia digitale” che uno studioso italiano come Raffaele Simone ha analizzato nel suo recente Presi nella rete.

Dobbiamo continuare a riflettere su questi temi con l’aiuto indispensabile della filosofia. Del resto, uno dei protagonisti dell’ascesa di Grillo, ospite di molti dibattiti televisivi degli ultimi giorni, è Paolo Becchi, noto studioso di filosofia tedesca, e più in particolare dello Hegel berlinese. 

Marginalizzare il ruolo della filosofia è un’operazione intellettuale che, ad intermittenza, viene riproposta,  ma è destinata a rimanere una strategia di breve respiro, destinata all’insuccesso, almeno per tutti coloro che auspicano a un mondo migliore e soprattutto più giusto. 

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