top of page

Un nuovo paradigma per un’altra visione del futuro

 

di Nicola Zingaretti

Come penso sia dovere per chi riveste un ruolo politico, ho annunciato per tempo, in maniera trasparente, il mio sostegno convinto alla candidatura di Pierluigi Bersani a segretario del Partito Democratico. L’ho fatto per una ragione molto semplice: penso che il Pd, così come lo vediamo oggi, non vada bene. Che quello che è stato fatto fino ad oggi non basta. E per questo occorre cambiare, dando una chance a chi, come Bersani, ha dimostrato di avere le capacità e la competenza per prendere in mano il lavoro impegnati- vo di rifondare su basi culturali e politiche solide una proposta convincente con cui presentarsi al Paese. Ma soprattutto ho visto la possibilità che intor- no alla sua candidatura possa tornare a coagularsi un’idea di Pd: un Pd che parli all’Italia.

Sostenere una mozione congressuale, non significa, tuttavia, smettere di pensare. Non si tratta di indossare casacche, ma di partecipare al dibattito sostenendo in modo trasparente idee e opzioni politiche. Partecipare a un

congresso di partito, essere in campo, significa contribuire ad un importante passaggio democratico. Il momento in cui una comunità di donne e di uomi- ni si confronta liberamente, assume decisioni, misura le opzioni in campo, indica un progetto comune. Di una cosa sono convinto: il successo del no- stro congresso risiederà, soprattutto, nella qualità del nostro dibattito. Credo che il problema fondamentale che abbiamo di fronte sia quello di rimanere fedeli al nostro ordine del giorno. Abbiamo fondato questo partito persuasi che solo dall’incontro di esperienze, culture, riformismi diversi po- tesse nascere una risposta nuova e convincente alla crisi italiana. Chiudere la lunga transizione nella quale ci ha trascinato l’esaurimento delle grandi tradizioni politiche del Novecento, aprire una prospettiva nuova intorno ad un’idea di coesione nazionale, di benessere e di sviluppo che ci consenta di far entrare il nostro Paese a testa alta nelle nuove sfide della competizione europea e globale del terzo millennio..

Oggi, invece, il nostro Paese è immerso in una profonda crisi civile, sociale, produttiva. Una crisi che ha evidenti risvolti pratici e materiali nella quali- tà della vita dei cittadini ed altrettanto evidenti ricadute etiche nel campo, sempre più inaridito, dei valori condivisi, in un tessuto civico che regge con sempre maggiore fatica ai colpi dei particolarismi, degli egoismi, della paura, delle troppe campagne “contro” che aggrediscono il senso comune. A noi, allora, il compito di dimostrare da che parte stiamo: parte di questa crisi, o capaci di contribuire alla sua soluzione.

Il Pd è nato con questa ambizione. È nato, cioè, dalla convinzione che divisi non ce la facciamo, ma insieme si può provare a mettere insieme una forza organizzata, una cultura politica, un pensiero e una capacità di governo. E che questa forza e questa capacità possano incardinarsi in una nuova missio- ne nazionale: ricostruire l’Italia.

Troppo spesso, invece, il nostro dibattito è sembrato avvitarsi in una di- mensione autoriflessiva: forme organizzative e regole interne. Non solo la sconfitta, ma soprattutto i segni strutturali di arretramento registrati nel voto europeo e amministrativo di giugno 2009 ci consegnano ora un problema immenso. Ce lo fanno misurare, al di là di ogni auto illusione. Il problema è che se quella era la nostra ambizione, non ci siamo riusciti. O quanto meno, non ci stiamo riuscendo.

Il mandato che oggi ci viene consegnato non è solo politico, ma culturale. Tornare ad immergerci nella realtà di un Paese profondamente mutato, com- prenderne le trasformazioni, indicare un progetto coerente ed efficace per guidarlo fuori dalle secche nelle quali oggi naviga. Troppo spesso, volgen- doci attorno, ci troviamo ad osservare un panorama a tratti irriconoscibile, ricerchiamo inutilmente i nostri luoghi comuni, gli appigli tradizionali che non troviamo più. Forse, da troppo tempo, abbiamo smesso di interrogare il nostro Paese, chiudendoci in un illusorio rifugio di certezze.

Ho una sensazione chiara, ce lo dice il nostro elettorato. Sull’elenco dei cin- que / sei problemi chiave per il futuro dell’Italia – dalla sicurezza al lavoro, dal rilancio dell’economia alla qualità della pubblica amministrazione, dal- l’immigrazione alla povertà – gli italiani hanno ritenuto, fino ad oggi, che la proposta della destra fosse migliore della nostra. O meglio: fosse l’unica. La nostra non c’è stata, e se c’è stata, non è apparsa sufficientemente credibile. Il consenso della destra, oggi, appare incrinato da un diffuso clima di sfi- ducia. Eppure, anche in presenza di un malessere carsico di tante catego- rie che si interrogano sul domani, non siamo noi gli interlocutori prescelti. Avanzano i partiti antisistema, si afferma il radicamento della Lega, il voto di

protesta premia l’Italia dei Valori.

Mai come oggi, prima di parlare di alleanze e di alchimie politiche, dovrem- mo pensare alla nostra alleanza con i cittadini, al patto che dobbiamo torna- re a stringere con l’elettorato. Per questo, con molta franchezza, credo che un congresso impiantato su uno schematismo innovazione / conservazione non sia quello che ci serve.

Per affrontare la sfida che ci attende, non basta neanche limitarsi ad indica- re un programma di governo. È necessario costruire un nuovo paradigma, dare una visione di futuro, lasciare trasparire una tavola di valori dietro ogni proposta specifica. Un’analisi innovativa della realtà sociale, un nuovo lin- guaggio della politica, una nuova narrazione unitaria del Paese.

Come ci ricorda, nel un suo denso e bellissimo contributo offerto a questo congresso Alfredo Reichlin, il terreno di confronto «è il mondo. È la lotta per cambiarlo. Lotta, cioè scontro con una stratificazione di interessi molto potente. Per reggere questo scontro la carta decisiva è un partito di popolo. È, soprattutto, la grande politica, quella che riorganizza le forze sociali, spo- sta gli interessi, cambia le menti. Questo è il nuovo».

bottom of page