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Alcune riflessioni

di J. L. Nancy

di Carmelo Meazza

In un libro che ha come titolo La dischiusura, Jean-Luc Nancy precisa meglio, forse con più cura rispetto ad altri suoi contributi, la sua posizione nei confronti del nichilismo.

Il nichilismo qui appare non solo l’epoca della fine del senso o della morte di Dio ma anche il tempo lungo nel quale il Verstand prende il sopravvento. Il Verstand secondo la celebre definizione hegeliana indica il dominio dell’intelletto astratto. 

Esso è il semplice pensiero raziocinante del calcolo che sovrasta la sfera della comunità imponendo la medesima logica che le burocrazie esercitano nei confronti del principio della statualità quando esso ha perso la sua forza iniziale. Il Verstand come le burocrazie è in Hegel il sintomo più evidente del venire meno dalla forza del Vernunft e si afferma sempre come effetto e causa insieme in un’epoca di declino.

Nel momento in cui Nancy chiama in causa questa coppia speculativa della filosofia hegeliana invita a guardare all’epoca del nichilismo con un doppio sguardo: il finire del senso porta con sè un doppio movimento: l’uno va verso la razionalizzazione astratta e al contempo, l’altro, come per contraccolpo della medesima economia, porta in dote un’attesa che “si dirige verso la possibilità di infiammarsi”. 

Sulla natura di quest’attesa o meglio sul pensiero di quest’attesa si potrebbero enumerare, egli ritiene, le più gravi sconfitte della filosofia. Non che non vi siano straordinarie disamine e diagnosi su di essa, ma per varie ragioni, su cui sarebbe urgentissimo riflettere, l’intera epoca dell’umanesimo o l’eredità dell’illuminismo o del post illuminismo resterebbero su questo senza le parole appropriate.

Sembra di capire, sviluppando queste coerenze, che l’esperienza della morte di Dio,  limitata ad esaltare l’effetto liberante del declino del senso, non saprebbe cogliere la natura di quest’attesa e alla fine non saprebbe difenderla dal ritorno sempre in agguato delle religioni  o dei fondamentalismi di varia natura, pronti a diventare l’incendio di questa disponibilità ad infiammarsi.

In qualche modo, nel tempo del nichilismo per evitare che una spada tagli in due il mondo distribuendo razionalità astratta da un lato e ritorni fondamentalisti dall’altro occorrerebbe riprendere in modo completamente nuovo un’eredità appena accennata e del tutto incompiuta lasciata in dote proprio da Kant. 

Quest’eredità consiste per Jean-Luc Nancy nell’orientamento di una fede della ragione. Le filosofie di Hegel, di Schelling e di Hoelderlin avrebbero raccolto quest’eredità nella ricerca di un assoluto della ragione o di un pensiero più alto nella ragione assoluta. L’esito speculativo e pratico avrebbe però dilapidato l’eredità contenuta in quell’urgenza diventando il compimento di un intero ciclo del pensiero moderno piuttosto che l’inizio di un nuovo avvenire del pensiero. Per Nancy questo compito resta ancora davanti a noi e non è un caso che proprio la politica sia il terreno in cui questo vuoto si avverte in modo speciale. “(...)Non è un caso che la politica manchi di ciò che l’espressione “religione civile” significa in Rousseau, manchi cioè, di quell’elemento nel quale dovrebbe potersi esercitare non solo la razionalità del governare, ma quella, infinitamente più alta e più ampia, di un sentimento o addirittura di una passione dell’essere-insieme(...)” .

 

Naturalmente nessuna religione civile si può oggi riabilitare e nessun ritorno del religioso in quanto tale può colmare quel vuoto. Anzi entrambe quando si presentano sulla scena con una certa volontà di affermazione contribuiscono ad alimentarlo e amplificarlo. Evidentemente per Nancy una fede della ragione è tutt’altro che un richiamo alla religione in quanto tale né a quella naturale né a quella civile. E tuttavia, ripetiamo, egli ritiene che senza fede una ragione finisce nella fredda razionalizzazione dell’esistente e perde quanto la apre ogni volta nella passione dello stare insieme. Questa passione implica per il pensiero avventurarsi in una dimensione che lo oltrepassa in una condizione tuttavia in cui si deve prendere definitivamente atto che  si sono asciugati tutti i retromondi e tutti i cieli si sono svuotati. 

L’oltre non è quindi né più in fondo né al di là. Il senso, che Nancy invoca contro la logica dei meri significati o dei meri valori, incomincia a nascere solo quando si riesce a far meno sia del troppo profondo sia del troppo alto. Sia del sacro che del santo. La fede della ragione di cui qui si parla evidentemente non si fa avanti se non si abbandonano del tutto le altezze e le profondità. Per questo Nancy propone una mutua dischiusura dell’eredità della religione e della filosofia. Come se entrambi potessero trovare il loro oltre in una reciproca dischiusura e qui verificarlo come un senso che evita al religioso di sollevare gli occhi verso il cielo e alla ragione di racchiudersi in un fondo rassicurante,  anche quando è dichiarato infondato o abissale. 

Nancy tuttavia non parla in questo saggio della religione o del fenomeno religioso in quanto tale. L’invito che egli rivolge alla filosofia è piuttosto di guardare verso il cristianesimo con la convinzione che esso abbia in sè, nel suo dinamismo più segreto, qualcosa che lo sottrae permanentemente alla dimensione del religioso in quanto tale. “La sempre rinnovata condanna del cristianesimo da parte dei filosofi – e particolarmente da parte di quelli dell’Illuminismo – non può che lasciare perplessi, scrive Nancy, una volta che ne siano stati compresi e riconosciuti senza riserve tutti i buoni motivi” .

L’Illuminismo ha prodotto dunque dei buoni motivi per sospettare e diffidare del cristianesimo e tuttavia quando si conclude con un suo ripudio o una condanna solenne  rinuncia a qualcosa di cui proprio la ragione ha bisogno nel  momento in cui si riconosce come passione di una certa convivenza. La filosofia è quindi invitata da Nancy a compiere, nei confronti dell’esperienza cristiana in Occidente, il medesimo ripensamento che l’etnologia, da molto tempo, ha compiuto nei confronti dei popoli primitivi superando la presunzione etnocentrica. La presunzione che la Riforma e l’Illuminismo (malgrado tutta la loro nobiltà e vigore) hanno sedimentato nei confronti del passato premoderno dell’Europa è un ostacolo formidabile per il compito di quella fede della ragione lasciato in eredità dalla filosofia kantiana. Questa presunzione in vario modo continua ancora oggi e impedisce alla ragione di cogliere una certa forza decostruttiva presente nell’evento cristiano. Decostruttiva verso se stesso innanzi tutto, poiché esso è sempre anche caduta nel semplice legame religioso,  e decostruttiva verso le pretese totalizzanti di una ragione incapace di dischiusura verso le sue stesse esigenze più radicali. A partire da quelle oggi giustamente più praticate: dare vita a un pensiero senza fini, ateo o forse si potrebbe anche dire teoanarchico. 

Tra le coerenze interne di quest’attenzione di Nancy all’evento cristiano c’è questo esito: poiché il cristianesimo va pensato come la radice che spinge il monoteismo verso un certo ateismo (proprio nel momento in cui ne decostruisce la dimensione semplicemente religiosa) coloro i quali avvertissero nel mondo moderno e nel suo spettacolo un elemento solo ed esclusivamente estraneo e nemico e fossero impegnati a guardare indietro con nostalgia verso un passato di fede e di valori, sarebbero estranei e lontani proprio da questa radice cristiana. Almeno nel senso che l’assenza di Dio di cui sa vivere il mondo moderno è un esito cristiano molto di più di quanto lo sia della ragione moderna. 

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