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Una questione di identità

 

di Mauro Ponzi

Di fronte al processo di fondazione del Partito Democratico tutti ci chiedono la carta di identità: chi siete? da dove venite? come è possibile conciliare ex-comunisti con ex-democristiani? Il problema principale della politica (o forse del giornalismo politico) sembra quello di trovare una collocazione nello scacchiere immaginario (un po’ più a destra di.., un po’ più a sinistra di). La verità è che invece si sente il bisogno impellente di una nuova realtà, di mischiare le carte, di “sparigliare”. L’unione degli “ex” non interessa nessuno e se si dovesse rimanere in questa prospettiva correntizia (la cosiddetta “fusione fredda”) non si andrebbe molto al di là dell’esistente. La nuova identità, che sta alla base di un nuovo soggetto politico, non può che basarsi sul programma politico e sulle esigenze (anch’esse innanzi tutto politiche) che hanno portato a fondare il nuovo partito. E’ il primato della prassi sulle alchimie delle collocazioni teorico-astratte. L’unica via per dare una stabilità al governo e al paese è quella di mettere insieme – attorno a un programma – quelle componenti che vengono da una lunga tradizione nazionalpopolare – ma sì, usiamo questo termine gramsciano – che hanno mostrato (nei loro momenti e nei loro esponenti migliori) un senso di responsabilità (il senso dello Stato, l’interesse per il “bene comune”, per la res publica) che decenni di craxismo e di berlusconismo hanno demolito a picconate. Si tratta quindi di un accordo – di una convergenza politica – su una serie di punti concreti (il “che fare” qui e ora) – per salvare il Paese dalla catastrofe economica, politica e civile. I danni provocati dal malgoverno delle destre e dal malcostume sono in prima linea economico-politici, ma anche, in senso più profondo, di carattere istituzionale. Quando chi ricopre una carica istituzionale – o lo stesso ministro delle finanze – afferma pubblicamente che è giusto e “morale” evadere le tasse, mette in moto un meccanismo di “scollamento”, aizza gli istinti peggiori dell’individualismo e del menefreghismo che mette in discussione i principi del vivere civile, dello stare insieme. La confluenza delle molto componenti nel Partito Democratico esprime l’esigenza di una serie di forze politiche – e soprattutto della società civile – di ricostruire i presupposti della politica, dello stare insieme, di condividere le regole (non solo il sistema elettorale, ma le regole della Politica con la maiuscola). Allora non ha importanza la provenienza, non ha importanza se si è “ex” di qualche formazione politica, non ha importanza lo “schieramento”, ha invece primaria importanza il programma, la prassi, la ricostruzione dei presupposti di un vivere civile, la lotta all’individualismo sfrenato e alle tendenze disgregatrici. L’aspetto “caldo” di questa iniziativa è dato dall’abbandono delle alchimie di Palazzo, dal ritorno dei grandi temi, dalla fiducia nella possibilità di poter cambiare le cose e – soprattutto – dal coinvolgimento della società civile. Fabio Mussi, col suo sarcasmo da toscano, dice che “partito democratico” è un’esagerazione. Sì, Fabio, vogliamo un partito esagerato: pragmatico, che non si perda nella ricerca dell’albero genealogico, con una esagerata partecipazione popolare, esageratamente democratico.

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